Il ricoverato impertinente era debole di reni e ci vedeva poco; quindi la notte, quando si
alzava per fare pipì nel pappagallo, spesso bagnava in giro suscitando le ire degli infermieri la
mattina seguente. Avrebbe dovuto farsi aiutare, ma era troppo orgoglioso. Per uno come lui chiedere
aiuto al personale di turno per farsi accompagnare in bagno significava rinunciare alla propria
indipendenza. Anche per colpa della fioca luce notturna che illuminava la camera di ospedale, a
volte si sbagliava e prendeva il pappagallo del vicino di letto facendolo arrabbiare.
Una sera le due infermiere che stavano prendendo servizio per fare il turno di notte lo
rimproverarono aspramente ed a voce alta per le tracce di pipì che aveva lasciato in giro le notti
precedenti. Poi con un tono sprezzante gli intimarono di rispettare le regole e di chiamarle ogni
volta che aveva lo stimolo di urinare. Avevano molte ragioni, ma questo non giustificava la loro
mancanza di rispetto; anche perché lui non faceva apposta a bagnare in giro. Come aveva già
dimostrato nel "duello" con il sacerdote qualche giorno prima, aveva una sua dignità. Accettava i
rimproveri fatti con discrezione, ma essere umiliato pubblicamente per una negligenza dovuta più
che altro agli acciacchi della vecchiaia per lui era un affronto intollerabile. Tuttavia, l'anziano
montanaro incassò la ramanzina senza battere ciglio. Ce la mise tutta per conservare un
atteggiamento dignitoso e il suo solito sorrisetto, nonostante avvertisse su di sé gli sguardi fastidiosi
degli altri ricoverati che ne spiavano le reazioni. Le due infermiere erano molto competenti nel loro
lavoro ma, alla stregua del sacerdote, in quella circostanza non avevano avuto tatto. Erano state
istintive e non si erano preoccupate di ferire l'anziano montanaro. Per restare in tema, erano state
loro a fare la pipì fuori dal vaso. I detti "Chi comprende, non giudica e non offende" e "La parte che
più ferisce del rimprovero è il tono" le avrebbero indotte ad essere più rispettose, ma non li
conoscevano o forse non ne apprezzavano il valore. A loro non aveva insegnato nulla neanche il
"duello" di qualche giorno prima tra l'anziano montanaro e il sacerdote, di cui erano sicuramente
venute a conoscenza. Purtroppo un'infinità di conflitti umani di piccola e grande rilevanza si
verificano perché in troppi non tengono presente il detto "L'uomo è un animale permaloso e di
difficile trattamento. Per una disattenzione o una parola non riguardosa si indispone e facilmente si
irrita".
La notte seguente, ligio alle raccomandazioni ricevute, l'anziano montanaro suonò varie
volte il campanello per farsi accompagnare in bagno; ma in più occasioni, dopo essersi trattenuto svariati minuti, diceva con un sorrisetto disarmante "non mi scappa più" e si faceva riaccompagnare
a letto. Dal locale degli infermieri era possibile individuare la stanza da cui proveniva la chiamata,
ma per capire chi fosse il degente chiamante le infermiere erano costrette ad andare a verificare ogni
volta e questa era già una penitenza per loro. Ma al ricoverato impertinente non bastava. Per evitare
che trovassero scappatoie o temporeggiassero, subito dopo aver suonato il campanello scendeva dal
letto e prendeva il pappagallo come se non resistesse allo stimolo di urinare; di conseguenza le
metteva in agitazione obbligandole a correre da lui. In questo modo aveva sempre la priorità su altri
degenti. Non appena tornava il silenzio in corsia, il ricoverato impertinente lo rompeva con il trillo
insistente del suo campanello dimostrando di essere un maestro nella strategia di logoramento.
Quella notte nel reparto ci fu trambusto. Né gli altri ricoverati né le due infermiere ebbero
pace. Ci fu qualche degente che provò a protestare affrontando l'irrequieto montanaro; la sua
risposta, però, era sempre la stessa: un sorrisetto disarmante che faceva allargare le braccia anche al
ricoverato più determinato. Il suo atteggiamento richiamava alla mente il detto "Per colpa del
peccatore paga anche il giusto". Ci furono lamentele anche da parte di ricoverati di altre stanze,
perché furono assistiti poco. Infatti, chiamando le infermiere di frequente e facendo perdere loro del
tempo prezioso, il ricoverato impertinente provocava la moltiplicazione delle chiamate di tutti gli
altri degenti in attesa di assistenza che, non vedendo arrivare nessuno, suonavano in continuazione i
campanelli. Non ci voleva molto a capire che lo stillicidio di richieste di assistenza fatte quella notte
da lui non era altro che una diabolica ritorsione nei confronti delle due infermiere; anche perché le
notti precedenti non si era alzato tutte quelle volte per fare pipì. Quest'ultime provarono solo
timidamente a rimproverarlo, perché lo videro molto determinato; quando arrivavano da lui, le
guardava negli occhi in silenzio, senza tradire emozioni, pur conservando il suo caratteristico
sorrisetto. "L'uomo deciso ti guarda in viso" recita un detto a cui il ricoverato impertinente si
ispirava inconsapevolmente in quella circostanza. Le infermiere non avevano scampo; gli avevano
detto loro di chiamarle per ogni evenienza e poi l'anziano montanaro problemi alla vista e ai reni li
aveva davvero. Le sue chiamate insistenti contenevano un messaggio molto chiaro che si può
sintetizzare così: io come ricoverato ho dei doveri ma anche dei diritti, tra cui quello di essere
rispettato e assistito; ecco, da adesso in poi li farò valere di più e se c'è carenza di personale peggio
per voi.
Le infermiere si resero ben presto conto che snobbare l'anziano montanaro avrebbe potuto
avere conseguenze anche peggiori per loro, vista la sua determinazione. Di sicuro non sarebbe
andato in bagno da solo e inoltre avrebbe bagnato di pipì in giro peggio delle notti precedenti,
costringendole magari a cambiare coperta, lenzuola e materasso del suo letto o di quello di altri. Se
poi, stufe di aspettare fuori dalla porta del bagno, se ne fossero andate senza riaccompagnarlo a
letto, chissà cosa avrebbe combinato facendosi forte del fatto che ci vedeva poco; senza contare che,
vagando per la stanza, avrebbe potuto farsi male o fare danni e a quel punto la responsabilità
sarebbe ricaduta su chi non lo aveva assistito bene, cioè sempre loro. In altre parole il ricoverato
impertinente, senza minacciarle o fare sceneggiate, aveva incastrato le infermiere con le stesse
regole che queste gli avevano imposto in malo modo la sera prima. In quella battaglia in difesa della
sua dignità aveva usato come una clava anche i suoi acciacchi, trasformando la sua debolezza di
reni e i suoi problemi alla vista in punti di forza con cui mettere sotto pressione le due "nemiche".
Da vero stratega, utilizzando regolamenti e problemi di salute che lo infastidivano, teneva in pugno
le due infermiere che gli avevano mancato di rispetto e questo era indice di una scaltrezza non
comune.
Sottovalutando l'anziano montanaro e parlando con superficialità, le due infermiere si erano
messe in trappola da sole. Per limitare i danni, esse avevano solo un modo: scusarsi e trattarlo con i
guanti bianchi. Se avessero seguito gli insegnamenti del detto "Reprimere un momento di rabbia può salvarti da cento giorni di dolore" non si sarebbero di certo cacciate in quel guaio. Per non
avere grane, a volte è sufficiente osservare regole semplici. Una di queste è la regola d'oro delle
dieci P, che ancora oggi molte nonne insegnano ai loro nipoti sotto forma di filastrocca. Essa recita:
"Prima pensa poi parla perché parola poco pensata porta pena".
A quel punto, per rimediare sarebbe stato utile un bagno di umiltà da parte delle due infermiere.
Seguire gli insegnamenti del detto "Chi oggi confessa di aver avuto torto è più saggio di ieri"
sarebbe stato sicuramente un toccasana per loro. Ma, si sa, fare mea culpa è difficile per tutti e
presuppone molta saggezza. Nessuna delle due infermiere chiese scusa o tentò di riconciliarsi con
lui. Così il mattino seguente, poco prima che ci fosse il cambio turno del personale, il ricoverato
impertinente assestò il colpo definitivo alle due "nemiche": fingendo di inciampare, rovesciò un
bicchiere di sciroppo oleoso su coperta e lenzuola del suo letto sporcandole. Era la medicina che gli
avevano dato poco prima le due infermiere. Così facendo, aveva neutralizzato eventuali ritorsioni
da parte loro e contemporaneamente aveva portato a termine la sua vendetta usando i mezzi che loro
stesse gli avevano fornito. D'altra parte nessuno poteva accusarlo: ci vedeva poco. Poco dopo
chiamò le infermiere, già stremate dalla notte d'inferno appena trascorsa, suonando insistentemente
il campanello. "Cosa è successo ancora!?" urlò una di loro inviperita entrando nella stanza e
vedendo quel disastro. "Sono stanco" le rispose lui in dialetto facendo un sorrisetto beffardo. "Io
sono stanca, non tu!" replicò quasi piangendo quest'ultima, annichilita sia dal guaio combinato dal
ricoverato impertinente sia dalla sua risposta provocatoria. Tra l'altro era anche il momento di
somministrare le terapie mattutine ai ricoverati e quindi era molto impegnata insieme alla sua
collega. Tuttavia si fece coraggio e sistemò il letto, cambiando anche coperta e lenzuola, perché
spesso a quell'ora il primario si faceva vedere in reparto e il rischio di fare brutta figura o di dover
dare antipatiche spiegazioni era alto. Inoltre, se avesse lasciato le cose come stavano, rischiava di
litigare anche con gli infermieri del turno successivo, a cui quel lavoro non competeva. Appena
finito si sedette su una sedia, raccolse le sue forze residue e, rivolgendosi al ricoverato impertinente,
gli urlò con tutto il fiato che aveva in gola: "Fila a dormire!". "Che è meglio" aggiunse lui
ironicamente sdraiandosi con calma sul suo letto pulito e appena rifatto. "Chi prima non pensa dopo
sospira" sembrava dire fissando sornione la sua vittima.
Da quel momento rifiutò alimenti e medicinali per evitare eventuali vendette, ma per lui non
fu un sacrificio dato che non sopportava né gli uni né gli altri. I disturbi erano spariti e gli esami non
avevano rilevato problemi. In giornata, firmò le dimissioni volontarie dall'ospedale e se ne tornò
nelle sue montagne. Ne furono tutti felici. Soprattutto lui. Azzeccando sia le mosse che le
contromosse e facendole con una tempistica straordinaria, il ricoverato impertinente quella notte
aveva dimostrato di essere un ottimo giocatore nella scacchiera della vita; anche perché aveva
condotto una battaglia in buona parte silenziosa, ma nello stesso tempo molto efficace.
Luigi Buttari
Non affannarti inutilmente; un giorno il mondo farà a meno di te
IL FATALISTA FILOSOFO
Il personaggio era di quelli che suscitavano subito simpatia perché raccontava i fatti e
descriveva le situazioni con dovizia di particolari, una precisione esagerata ed un linguaggio.....
(continua)