Cultura

IL RICOVERATO IMPERTINENTE (continuazione)

Il mondo è di chi lo sa canzonare. Le infermiere in.....trappola


Racconti dalla Marsica e dintorni.jpg

Il ricoverato impertinente era debole di reni e ci vedeva poco; quindi la notte, quando si

alzava per fare pipì nel pappagallo, spesso bagnava in giro suscitando le ire degli infermieri la

mattina seguente. Avrebbe dovuto farsi aiutare, ma era troppo orgoglioso. Per uno come lui chiedere

aiuto al personale di turno per farsi accompagnare in bagno significava rinunciare alla propria

indipendenza. Anche per colpa della fioca luce notturna che illuminava la camera di ospedale, a

volte si sbagliava e prendeva il pappagallo del vicino di letto facendolo arrabbiare.

Una sera le due infermiere che stavano prendendo servizio per fare il turno di notte lo

rimproverarono aspramente ed a voce alta per le tracce di pipì che aveva lasciato in giro le notti

precedenti. Poi con un tono sprezzante gli intimarono di rispettare le regole e di chiamarle ogni

volta che aveva lo stimolo di urinare. Avevano molte ragioni, ma questo non giustificava la loro

mancanza di rispetto; anche perché lui non faceva apposta a bagnare in giro. Come aveva già

dimostrato nel "duello" con il sacerdote qualche giorno prima, aveva una sua dignità. Accettava i

rimproveri fatti con discrezione, ma essere umiliato pubblicamente per una negligenza dovuta più

che altro agli acciacchi della vecchiaia per lui era un affronto intollerabile. Tuttavia, l'anziano

montanaro incassò la ramanzina senza battere ciglio. Ce la mise tutta per conservare un

atteggiamento dignitoso e il suo solito sorrisetto, nonostante avvertisse su di sé gli sguardi fastidiosi

degli altri ricoverati che ne spiavano le reazioni. Le due infermiere erano molto competenti nel loro

lavoro ma, alla stregua del sacerdote, in quella circostanza non avevano avuto tatto. Erano state

istintive e non si erano preoccupate di ferire l'anziano montanaro. Per restare in tema, erano state

loro a fare la pipì fuori dal vaso. I detti "Chi comprende, non giudica e non offende" e "La parte che

più ferisce del rimprovero è il tono" le avrebbero indotte ad essere più rispettose, ma non li

conoscevano o forse non ne apprezzavano il valore. A loro non aveva insegnato nulla neanche il

"duello" di qualche giorno prima tra l'anziano montanaro e il sacerdote, di cui erano sicuramente

venute a conoscenza. Purtroppo un'infinità di conflitti umani di piccola e grande rilevanza si

verificano perché in troppi non tengono presente il detto "L'uomo è un animale permaloso e di

difficile trattamento. Per una disattenzione o una parola non riguardosa si indispone e facilmente si

irrita".

La notte seguente, ligio alle raccomandazioni ricevute, l'anziano montanaro suonò varie

volte il campanello per farsi accompagnare in bagno; ma in più occasioni, dopo essersi trattenuto svariati minuti, diceva con un sorrisetto disarmante "non mi scappa più" e si faceva riaccompagnare

a letto. Dal locale degli infermieri era possibile individuare la stanza da cui proveniva la chiamata,

ma per capire chi fosse il degente chiamante le infermiere erano costrette ad andare a verificare ogni

volta e questa era già una penitenza per loro. Ma al ricoverato impertinente non bastava. Per evitare

che trovassero scappatoie o temporeggiassero, subito dopo aver suonato il campanello scendeva dal

letto e prendeva il pappagallo come se non resistesse allo stimolo di urinare; di conseguenza le

metteva in agitazione obbligandole a correre da lui. In questo modo aveva sempre la priorità su altri

degenti. Non appena tornava il silenzio in corsia, il ricoverato impertinente lo rompeva con il trillo

insistente del suo campanello dimostrando di essere un maestro nella strategia di logoramento.

Quella notte nel reparto ci fu trambusto. Né gli altri ricoverati né le due infermiere ebbero

pace. Ci fu qualche degente che provò a protestare affrontando l'irrequieto montanaro; la sua

risposta, però, era sempre la stessa: un sorrisetto disarmante che faceva allargare le braccia anche al

ricoverato più determinato. Il suo atteggiamento richiamava alla mente il detto "Per colpa del

peccatore paga anche il giusto". Ci furono lamentele anche da parte di ricoverati di altre stanze,

perché furono assistiti poco. Infatti, chiamando le infermiere di frequente e facendo perdere loro del

tempo prezioso, il ricoverato impertinente provocava la moltiplicazione delle chiamate di tutti gli

altri degenti in attesa di assistenza che, non vedendo arrivare nessuno, suonavano in continuazione i

campanelli. Non ci voleva molto a capire che lo stillicidio di richieste di assistenza fatte quella notte

da lui non era altro che una diabolica ritorsione nei confronti delle due infermiere; anche perché le

notti precedenti non si era alzato tutte quelle volte per fare pipì. Quest'ultime provarono solo

timidamente a rimproverarlo, perché lo videro molto determinato; quando arrivavano da lui, le

guardava negli occhi in silenzio, senza tradire emozioni, pur conservando il suo caratteristico

sorrisetto. "L'uomo deciso ti guarda in viso" recita un detto a cui il ricoverato impertinente si

ispirava inconsapevolmente in quella circostanza. Le infermiere non avevano scampo; gli avevano

detto loro di chiamarle per ogni evenienza e poi l'anziano montanaro problemi alla vista e ai reni li

aveva davvero. Le sue chiamate insistenti contenevano un messaggio molto chiaro che si può

sintetizzare così: io come ricoverato ho dei doveri ma anche dei diritti, tra cui quello di essere

rispettato e assistito; ecco, da adesso in poi li farò valere di più e se c'è carenza di personale peggio

per voi.

Le infermiere si resero ben presto conto che snobbare l'anziano montanaro avrebbe potuto

avere conseguenze anche peggiori per loro, vista la sua determinazione. Di sicuro non sarebbe

andato in bagno da solo e inoltre avrebbe bagnato di pipì in giro peggio delle notti precedenti,

costringendole magari a cambiare coperta, lenzuola e materasso del suo letto o di quello di altri. Se

poi, stufe di aspettare fuori dalla porta del bagno, se ne fossero andate senza riaccompagnarlo a

letto, chissà cosa avrebbe combinato facendosi forte del fatto che ci vedeva poco; senza contare che,

vagando per la stanza, avrebbe potuto farsi male o fare danni e a quel punto la responsabilità

sarebbe ricaduta su chi non lo aveva assistito bene, cioè sempre loro. In altre parole il ricoverato

impertinente, senza minacciarle o fare sceneggiate, aveva incastrato le infermiere con le stesse

regole che queste gli avevano imposto in malo modo la sera prima. In quella battaglia in difesa della

sua dignità aveva usato come una clava anche i suoi acciacchi, trasformando la sua debolezza di

reni e i suoi problemi alla vista in punti di forza con cui mettere sotto pressione le due "nemiche".

Da vero stratega, utilizzando regolamenti e problemi di salute che lo infastidivano, teneva in pugno

le due infermiere che gli avevano mancato di rispetto e questo era indice di una scaltrezza non

comune.

Sottovalutando l'anziano montanaro e parlando con superficialità, le due infermiere si erano

messe in trappola da sole. Per limitare i danni, esse avevano solo un modo: scusarsi e trattarlo con i

guanti bianchi. Se avessero seguito gli insegnamenti del detto "Reprimere un momento di rabbia può salvarti da cento giorni di dolore" non si sarebbero di certo cacciate in quel guaio. Per non

avere grane, a volte è sufficiente osservare regole semplici. Una di queste è la regola d'oro delle

dieci P, che ancora oggi molte nonne insegnano ai loro nipoti sotto forma di filastrocca. Essa recita:

"Prima pensa poi parla perché parola poco pensata porta pena".

 A quel punto, per rimediare sarebbe stato utile un bagno di umiltà da parte delle due infermiere.

Seguire gli insegnamenti del detto "Chi oggi confessa di aver avuto torto è più saggio di ieri"

sarebbe stato sicuramente un toccasana per loro. Ma, si sa, fare mea culpa è difficile per tutti e

presuppone molta saggezza. Nessuna delle due infermiere chiese scusa o tentò di riconciliarsi con

lui. Così il mattino seguente, poco prima che ci fosse il cambio turno del personale, il ricoverato

impertinente assestò il colpo definitivo alle due "nemiche": fingendo di inciampare, rovesciò un

bicchiere di sciroppo oleoso su coperta e lenzuola del suo letto sporcandole. Era la medicina che gli

avevano dato poco prima le due infermiere. Così facendo, aveva neutralizzato eventuali ritorsioni

da parte loro e contemporaneamente aveva portato a termine la sua vendetta usando i mezzi che loro

stesse gli avevano fornito. D'altra parte nessuno poteva accusarlo: ci vedeva poco. Poco dopo

chiamò le infermiere, già stremate dalla notte d'inferno appena trascorsa, suonando insistentemente

il campanello. "Cosa è successo ancora!?" urlò una di loro inviperita entrando nella stanza e

vedendo quel disastro. "Sono stanco" le rispose lui in dialetto facendo un sorrisetto beffardo. "Io

sono stanca, non tu!" replicò quasi piangendo quest'ultima, annichilita sia dal guaio combinato dal

ricoverato impertinente sia dalla sua risposta provocatoria. Tra l'altro era anche il momento di

somministrare le terapie mattutine ai ricoverati e quindi era molto impegnata insieme alla sua

collega. Tuttavia si fece coraggio e sistemò il letto, cambiando anche coperta e lenzuola, perché

spesso a quell'ora il primario si faceva vedere in reparto e il rischio di fare brutta figura o di dover

dare antipatiche spiegazioni era alto. Inoltre, se avesse lasciato le cose come stavano, rischiava di

litigare anche con gli infermieri del turno successivo, a cui quel lavoro non competeva. Appena

finito si sedette su una sedia, raccolse le sue forze residue e, rivolgendosi al ricoverato impertinente,

gli urlò con tutto il fiato che aveva in gola: "Fila a dormire!". "Che è meglio" aggiunse lui

ironicamente sdraiandosi con calma sul suo letto pulito e appena rifatto. "Chi prima non pensa dopo

sospira" sembrava dire fissando sornione la sua vittima.

Da quel momento rifiutò alimenti e medicinali per evitare eventuali vendette, ma per lui non

fu un sacrificio dato che non sopportava né gli uni né gli altri. I disturbi erano spariti e gli esami non

avevano rilevato problemi. In giornata, firmò le dimissioni volontarie dall'ospedale e se ne tornò

nelle sue montagne. Ne furono tutti felici. Soprattutto lui. Azzeccando sia le mosse che le

contromosse e facendole con una tempistica straordinaria, il ricoverato impertinente quella notte

aveva dimostrato di essere un ottimo giocatore nella scacchiera della vita; anche perché aveva

condotto una battaglia in buona parte silenziosa, ma nello stesso tempo molto efficace.

 

Luigi Buttari

 

Non affannarti inutilmente; un giorno il mondo farà a meno di te

IL FATALISTA FILOSOFO

Il personaggio era di quelli che suscitavano subito simpatia perché raccontava i fatti e

descriveva le situazioni con dovizia di particolari, una precisione esagerata ed un linguaggio.....

(continua)


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