Attualità 05:15

The Importance of Being Jihad: Il peso di un nome

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NEWCASTLE. “My name is Jihad but I'm not a terrorist”. Ci ha guardato intensamente negli occhi e ci ha sussurrato piano questa frase, con l'aria fiera di una persona che vuole spiegarti e che vuol provare a farti cambiare idea su ciò che ha liberamente nuotato nella tua mente fino a pochi secondi fa.

 

Un giorno di scuola come un altro a Newcastle, al Castlegate, il luogo dove trascorro il tempo ad imparare la lingua con altri studenti provenienti da differenti Paesi.

 

Jihad R. è un uomo di 42 anni, un uomo di piccola statura ma di grande umanità. Ha una moglie e due figli piccoli. E' partito dal Kurdistan, parte nord dell'Iraq, ed è arrivato nel North East dell'Inghilterra per frequentare un Master in Sociologia nell'Università della città.

 

Sono trascorsi pochi giorni dall'attentato disastroso di Parigi, pochi giorni dalle terribili immagini di corpi straziati all'interno della sala concerti Bataclàn, e Jihad è alla lavagna, spiegando perché in queste ore anche scrivere il proprio nome sia diventato così difficile.

 

Mi chiamo Jihad ma non sono un terrorista. Sono musulmano ma non sono un terrorista. L'Islam non è terrorismo. Molti dei miei amici mi hanno consigliato di cambiare nome per non incorrere in situazioni difficili, specialmente ora che sono in Inghilterra, ma non l'ho mai fatto”.

 

 

Jihad ci racconta la sua storia fieramente e noi siamo tutti lì fermi in silenzio. Onestamente, ci sentiamo anche in colpa per averlo guardato diversamente il giorno dopo Parigi come ad aspettarci da lui una spiegazione sensata al gesto dei terroristi dell'Isis.

 

Non voglio cambiare il mio nome, nemmeno dopo questi terribili fatti” ha continuato “c'è una interpretazione sbagliata del nome, viene usato per indicare le persone che uccidono innocenti e commettono crimini. Non voglio cambiarlo perché significherebbe accettare ed essere d'accordo con chi, per mezzo di esso, commette stragi come quella di Parigi.”

 

 

Jihad ci racconta di aver ricevuto un'educazione in cui è sempre esistito il rispetto per le altre persone, un'educazione che non ha mai ammesso l'essere estremisti. Perché essere musulmani può significare anche rispettare l'idee altrui, mantenere una linea di pace con il resto del mondo, preoccuparsi dei problemi altrui come fossero i propri.

 

Quando vedo tutto ciò che accade sotto il nome dell'Islam, specialmente sotto il nome di Jihad, mi dispiaccio immensamente perché questo non ha nulla a che fare con la nostra religione”, ha continuato a raccontarci, “e voglio chiedere ai media e al mondo intero di non chiamare più questi criminali Jihadisti,perché questo dà loro importanza e li convince di essere nel giusto uccidendo milioni di innocenti”.

 

La parola “Jihad”, come ci spiega il nostro amico, non è collegata all'essere un omicida. La parola Jihad, جهاد deriva dalla parola Jahada جهد che significa lottare, sforzarsi, impegnarsi in buone cause, in cose buone.

 

Proprio qualche giorno dopo l'attentato a Parigi Jihad aveva scritto sul suo profilo Facebook: “A causa di una minoranza di persone, assolutamente criminali, la maggioranza che vive in pace ed ama la vita ha grandi difficoltà a godere di essa, difficoltà da tutti i lati. Per questo è nostro compito e nostra responsabilità dire a questa minoranza che deve fermarsi perché il mondo ne ha abbastanza”.

 

La lezione è finita e Jihad torna al suo posto per prendere le sue cose. Mi avvicino e gli chiedo se posso raccontare tutto sul nostro giornale, temendo una risposta negativa. “Ti prego con tutto il mio cuore, fallo. Fai capire a tutti la differenza tra credere in un Dio diverso dal tuo ed essere un terrorista”.

 

Grazie Jihad.

 

Claudia Cardilli

 

 


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