Cultura 05:15

Il Teatro dei Colori incanta Napoli con Pomilio

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AVEZZANO. Si apre il sipario sulla scena per il Teatro dei Colori,  centro avezzanese che si occupa di produzione, ricerca e pedagogia dello spettacolo, inserito all'interno del Premio Napoli 2015, un premio che incoraggia la produzione culturale italiana e, soprattutto,  favorisce la lettura e il dibattito culturale e civile nella città, nella provincia e nell’intera area regionale, disponendole e incoraggiandole, con adeguati strumenti organizzativi, al dialogo con il resto del mondo e, in particolare, con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

 

Sarà proprio Gabriele Ciaccia, in qualità di regista, a portare in scena "Fuoco di Libertà", tratto da "Il Nuovo Corso" di Mario Polmilio e interpretato inoltre da Andrea Palladino, con la consulenza storica e letteraria di Tommaso Pomilio, la produzione di Gabriella Montuori con la partecipazione di Valentina Ciccia. 

 

Di seguito, il commento integrale di Tommaso Ottonieri, così come il sito premionapoli.it riporta: 

 

Il fantasma della Verità; gli enigmi della Libertà. L’aporia perfetta che si contiene nel nome di unsocialismo reale (per cui la prospettiva utopica, canalizzata si stringe in un sottovuoto panottico, e il sogno e sole dell’avvenire collassa in asfissia concentrazionaria), provata in un paese chepotrebbe anche essere il nostro… E che, poi, in ogni caso è il nostro: soggetto com’è, ciascun angolo di questo mondo, a forme di assolutismo più palesi o più imperscrutabili, che inducono a investigare i confini della libertà, le sue condizioni – perché libertà-condizionata sempre (tantopiù nell’era spettacolare, che da poco meno di un secolo ci troviamo a vivere, inaugurata dai totalitarismi del Moderno), libertà eterodiretta dai flussi di poteri labirintici, che si occultano anche a se stessi, ormai sfuggenti a se stessi, come nel rumore sottile e remoto di effetti rebound capillarmente polverizzati.

Per capire la favola distopica (a partire dal Fahrenheit di Bradbury nell’immagine centrale,  seppure in parte rovesciata) e pur storicizzante (nell’ombra manzoniana della Colonna infame), dall’aerea, tesa-straniata leggerezza di piombo (tra Magritte e Kafka, per intendersi), su cui il recitativo del Nuovo corso articola la sua sola variatissima onda sonora, – per scrutare la luce sovraesposta, così “normale” così metafisica, dei suoi piani sequenza che quasi metricamente la scandiscono, – bisogna forse spostarsi qualche anno più avanti rispetto a quel ‘59 in cui il libro era uscito, a ridosso dei fatti d’Ungheria. Bisogna portarsi, per la precisione, al laboratorio narrativo dei secondi anni ‘60, quando Pomilio lavorava ad un testo (Il cane sull’Etna) traente spunto anch’esso dai misteri della stampa quotidiana cioè dalla giungla indistricabile dei suoi ritagli (certo di ben altro segno che non la voce unica di quella “Verità”, testata ufficiale del regime rappresentato nel Nuovo corso) e dall’avventura della sua lettura, del suo lettore (e di ben altro segno che non il giornalaio-alfiere di quella impossibile, irridente “Verità”). «Questo mondo di libertà profanate. E di libertà provvisorie»: è l’appunto manoscritto, che emerge dalle carte di quel lavoro destinato a restare compiutamente “interrotto”. A ricordarci che la vicenda, e concreta e come metafisica, di cui narrava nel lontano-vicino 1959 del Nuovo corso, solo incidentalmente rispecchia l’insurrezione ungherese e sua repressione (a ridosso di cui era stato scritto), così come incidentalmente, ma per una forma di necessità che coincide con la fatalità, il suo scioglimento finirà per prefigurare il sacrificio di Jan Palach nella primavera di dieci anni dopo. Ciò su cui verte, insomma, il senso di questa straniata specie distopica di fiaba, è senza mezzi termini una meditazione intorno al Potere Costituito, in ciascuna delle sue forme, dalla più invadente fino alla più invisibile (e più inquietante per questo), dalla più apertamente dispotica alla più impersonale; e dunque, intorno alla gnostica sua metafisica (alla sua microfisica, addirittura). Quanto alla libertà: perimetrazione dell’incertezza quasi fantasmatica dei suoi confini, a fronte della vertigine, anche “incendiaria” della sua idea incondizionata: e non sembra un caso che giusto in quel tempo lo scrittore stesse approntando una narrazione incentrata sulla figura, grande e a lui assai vicina, di un anarchico fucense, Franco Caiola.

Il fuoco interno, che l’idea contiene, è quanto la realizzazione teatrale riprende e sviluppa, per voce di Andrea Paladino, giovane di sicurissimo talento. Teatro di narrazione ma perché capace – nella direzione secca e dinamica di Gabriele Ciaccia, – più che di riferire, di mettere in scena la parola: e una parola così ricca, sensibile, monologica e insieme multiversa, astratta e insieme radicalmente interna al fuoco della vicenda e ai suoi enigmi le sue ir/ragioni, come quella di Pomilio, che proprio in questo libro dispiega – in un intreccio di percorsi ritornanti ma insieme aperti – la composta sfrenatezza della sua libertà, del suo interrogare inesausto, la musica stessa del suo difficile ethos. E così il grigio-cenere che, nel narrato, torna a posarsi nell’alba che rinserra il termine di un sogno, si riconverte, per lo spaziarsi della voce, nella palpitante timbrica di un teatro di colori.

 

Tommaso Ottonieri

 

 

Redazione Avezzano Informa 

 

 


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