30-09-2014
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Racconti dalla Marsica e dintorni di Luigi Buttari


10-12-2014

Il politico politicante pensa alle future elezioni, il politico statista alle future generazioni.

 

IL PROVOCATORE POLITICO

(TERZA PARTE)

 

Il comizio del.... provocatore

             Nella serata conclusiva di un’importante campagna elettorale per le elezioni comunali, nella piazza principale del paese c'era fermento. Nei giorni precedenti lo scontro politico era stato molto aspro e i candidati sindaci, succedendosi sul palco per i comizi finali, avevano continuato a polemizzare tra loro e a scambiarsi accuse. Come capita sempre in questi casi, l'amministrazione uscente appartenente all'area moderata era stata bersagliata dai candidati sindaci delle due altre liste in lizza collocate a destra e a sinistra dal punto di vista politico. Come è facilmente immaginabile, era stato preso di mira soprattutto il sindaco. Le accuse erano le solite: opere promesse e non realizzate, impegni presi e non mantenuti, favoritismo nei confronti degli appartenenti alla propria cerchia di amici e parenti nell'assegnazione di posti di lavoro e appalti, ecc... Questi scambi di accuse avevano acceso ulteriormente gli animi delle persone presenti in piazza. Come era prevedibile, i tre aspiranti sindaci avevano fatto anche impegnative promesse elettorali. In altre parole, quella sera era andata in scena una commedia già vista in tante altre competizioni elettorali e non solo in quel piccolo paese. Per il provocatore politico era un'occasione imperdibile. Aveva ascoltato stranamente in silenzio i comizi ma, non appena l'ultimo candidato ebbe terminato il suo discorso, salì improvvisamente sul palco e disse al microfono: "Quelli che hanno parlato prima di me mangiano e bevono, perciò non li votate. Votate per me che bevo e basta!". Ovviamente risero tutti, compresi i candidati che avevano parlato. In molti lo applaudirono. Con queste parole, egli aveva voluto sottolineare il fatto che non pochi politici perseguono interessi personali o di parte, anziché quelli collettivi. La piazza era ancora gremita e i candidati sindaci si aggiravano in mezzo ai gruppi di persone stringendo mani e abbracciando potenziali elettori. Nonostante l'intervento del provocatore politico non fosse in programma, nessuno lo fece scendere dal palco. Incoraggiato dall'entusiasmo con cui erano state accolte le sue prime parole, egli proseguì nel suo comizio improvvisato. "Avete un'aria di superiorità tipica di chi ha sempre da insegnare agli altri. Se comandassi io non farebbero in tempo ad infiascare l'olio di ricino per voi!" disse puntando il dito contro il candidato sindaco della lista progressista, composta in maggioranza da comunisti e personaggi un po' snob che si davano un contegno da intellettuali. "Tuttavia, per voi userei piccole dosi perché ci avete anche insegnato a non toglierci il cappello davanti a nessuno" aggiunse subito dopo. Nonostante la provocazione, tipica dei nostalgici del ventennio fascista, il candidato preso di mira, anziché arrabbiarsi, rise e applaudì insieme al resto dei componenti il suo gruppo; anche perché con la sua ultima frase il provocatore politico aveva riconosciuto il valore delle lotte sindacali avvenute anni prima in zona, in cui quella parte politica aveva avuto un ruolo importante. Quelle battaglie, infatti, ebbero il merito di rendere consapevoli i lavoratori e le rispettive famiglie della loro condizione e dei loro diritti, conferirono loro dignità e permisero alle classi sociali più deboli di rendersi conto della propria forza politica e sociale. "Siete dei forchettoni, dei mangiapane a tradimento. Vivete di politica, non di lavoro. Avete scelto l'unico mestiere in cui non bisogna essere capaci di fare niente" disse al candidato sindaco della lista moderata che si trovava in mezzo ad un folto gruppo di appartenenti alla Democrazia Cristiana. Questa importante formazione politica in quegli anni dominava sia a livello locale che nazionale e quindi molti suoi militanti erano riusciti ad assicurarsi lavori ed incarichi ben retribuiti in vari enti grazie ad una spregiudicata politica clientelare messa in atto dalla miriade di capi e capetti del partito. Anche per questa ragione la Democrazia Cristiana era di frequente esposta a critiche da parte degli avversari. Per il provocatore politico questo partito costituiva un bersaglio privilegiato ed anche in quella occasione gli riservò un trattamento particolare. Infatti si girò verso un gruppetto di persone che sostenevano le altre liste e, indicando i militanti più malvisti e privilegiati di questa formazione politica, aggiunse provocatoriamente: "Ma vi rendete conto per chi si deve alzare il fornaio la mattina presto!?". A queste parole, dalla piazza si levarono fischi e applausi, mentre le persone prese di mira preferirono lasciar correre. Poi arrivò il turno dei sostenitori della lista di destra, tra i quali vi erano numerosi fascisti della vecchia guardia. "Vi voterò solo se mi promettete che potrò continuare a fare come mi pare, altrimenti non mi conviene. Di voi non mi piacciono le idee, ma le facce sì." disse loro con un sorrisetto sornione. Furono in tanti a ridere per questa battuta, compresi i militanti presi di mira.

            Parlando a ruota libera ed in modo scanzonato, il provocatore politico aveva detto tante spiacevoli verità sfottendo i candidati. Grazie a lui, la folla si era anche un po' divertita e si respirava un clima meno teso nella piazza; anche perché aveva provocato i politici utilizzando solo argomenti generali, senza citare minimamente questioni locali di stretta attualità. Contrariamente a come faceva di solito, egli aveva contribuito a placare gli animi in un momento cruciale della vita del paese. Con le sue "frasi ad effetto" fondate su verità incontestabili il provocatore politico aveva anche favorito un chiarimento collettivo tra gli elettori delle varie liste. Le persone si erano fermate ad ascoltare il suo comizio fuori programma e lo avevano applaudito perché, ai discorsi retorici dei politici, preferivano poche verità dette con frasi semplici. In quell'occasione egli aveva fatto emergere un certo malessere nei confronti della politica e dei politici in generale, considerati dal popolino componenti di una casta di privilegiati. Sia ben chiaro: le persone insofferenti nei confronti di chi comanda ci sono sempre state in ogni comunità umana; così come ci sono sempre stati i populisti come il provocatore. Solo che quest'ultimo non cavalcava il malcontento per finalità elettorali, ma per dare spettacolo.

            La cronica sfiducia dei ceti popolari nei confronti della politica e di chi la fa ai vari livelli dipende dalla convinzione diffusa che l'uomo sia inguaribilmente egoista; di conseguenza, quando ricopre posti di potere diventa automaticamente disonesto e approfittatore. Questa idea è ben rappresentata dal detto "Chi ha il miele in mano si lecca le dita". In realtà, la politica non è disonesta in sé; sono gli uomini disonesti a renderla tale. Sono in molti a ritenere - spesso a ragione - che le persone leali abbiano vita dura in politica, che i buoni siano destinati a fallire se si impegnano in questo campo, che tutti i governi siano mossi da interessi economici, sebbene sbandierino ai quattro venti di perseguire interessi sociali, che in politica comandino i soldi né più né meno come in altre attività. Alla luce di ciò, la maggior parte della gente giunge all'amara conclusione che la politica è una farsa; di conseguenza, ritiene un'illusione cercare di cambiare le cose con il voto e spesso diserta le urne. "Chi va al mulino si infarina", "Chi ha il mestolo in mano fa la minestra a modo suo", "Ci sono solo due categorie di politici: quelli incapaci e quelli capaci di tutto" e "Da potente a meschino è breve il cammino" sono quattro detti che riassumono bene il comune sentire riguardo alla politica e ai politici.

            Le cronache sono sempre state piene di scandali in cui sono coinvolti uomini politici. Questo ha continuamente rafforzato nelle persone la convinzione che la politica sia solo malaffare e che i politici non siano una risorsa per la società, ma consumatori delle sue risorse. Tale sfiducia nei loro confronti è emersa platealmente in un seggio durante lo spoglio delle schede elettorali. "Mangiatevi pure questa!" c'era scritto su una scheda all'interno della quale lo spiritoso elettore aveva infilato una fetta di salame. Questa simpatica e singolare forma di protesta aveva riscosso molto successo e non pochi l'avevano ripetuta nelle successive tornate elettorali.

            Personalmente non sono d'accordo con le semplificazioni e le generalizzazioni, perché fare di ogni erba un fascio è sempre sbagliato. Ho invece trovato molto veritiera un'analisi secondo cui i politici sono per il 10% dei farabutti, per un altro 10% delle persone serie e per il restante 80% rispecchiano la popolazione che li ha eletti sia nei vizi che nelle virtù. La buona politica per essere tale si dovrebbe fare per convinzione non per calcolo, dovrebbe essere una passione e non una professione. Purtroppo non è quasi mai così. Benché tutte le forze politiche si ispirino a ideologie che si prefiggono di realizzare società perfette e a misura d’uomo, tale obiettivo non sarà mai conseguito totalmente perché l’essere umano è per sua natura imperfetto. Anche se si è animati dalle migliori intenzioni, mettere in pratica ideali e buoni propositi è difficile e faticoso. "La realtà è una frusta che gli ideali aggiusta" recita un famoso proverbio. Ciò significa che è necessario trovare continuamente dei compromessi tra idealismo e realismo, se si vuole fare politica e trovare soluzioni. L'importante, però, è che essi siano dignitosi.

 

Buttari Luigi

 

 

            Saper invecchiare è il capolavoro della saggezza e una delle cose più difficili nell'arte difficilissima della vita.

 

 

IL CONTADINO IMPERTURBABILE

 

            Aveva un'età veneranda, ma non la dimostrava. Era solo un po'...

04-12-2014

 

La furbizia è l'unica arma a disposizione dei deboli per fronteggiare i potenti.

IL PROVOCATORE POLITICO
(SECONDA PARTE)

Il provocatore e l'opportunista
Il provocatore politico era un abituale frequentatore della piazza principale del paese che per lui rappresentava il migliore palcoscenico per le sue esibizioni. In occasione di eventi politici importanti quali le elezioni comunali era ancora più presente in questo posto strategico. Sapeva, infatti, che nei piccoli centri la piazza è il ritrovo naturale dei principali "movimenti" politici paesani e tenere sotto controllo i gruppi che in essa si formano e "complottano" sia prima sia durante sia dopo la campagna elettorale è essenziale per rendersi conto di ciò che bolle in pentola. È lì che si studiano le "mosse" dei propri compaesani e le loro frequentazioni. È lì poi che i candidati fanno i comizi e "tastano il polso" a molti potenziali elettori. "L'informazione è potere" recita un famoso detto e la piazza di un paese è uno dei posti più indicati per tenersi informati sulla politica locale; soprattutto durante il periodo elettorale. Proprio per questo i candidati e il provocatore politico la frequentavano assiduamente, anche se per motivi diversi.
Se svolta con passione, l'attività politica è maestra di vita perché è una battaglia per
l'interesse collettivo che richiede razionalità, intraprendenza, capacità progettuale; nello stesso tempo obbliga ad assumersi delle responsabilità e ad affrontare sfide, discussioni, litigi e scontri grazie a cui conosciamo meglio noi stessi e gli altri. Essa fa maturare, ma per svolgerla con successo richiede una "marcia in più". Soprattutto nei piccoli centri, le elezioni comunali sono le uniche in cui c'è un vero rapporto diretto tra elettori ed eletti e questo le rende una palestra di vita interessante per chi si impegna in politica. Mano a mano che lo scontro fra le liste contrapposte si acuisce vengono messi a dura prova la capacità diplomatica dei candidati e di chi si espone, il loro equilibrio, il loro coraggio, la loro scaltrezza, il loro senso della giustizia. Nello stesso tempo, vengono messi a nudo il loro opportunismo, la loro viltà, la loro doppiezza e tanti altri vizi umani che in tempi normali è più facile mascherare. In altre parole, l'impegno in politica è una sfida che
rivela il valore di un uomo e nello stesso tempo diventa un'utile esperienza formativa.
Il provocatore politico, istigando i candidati e le persone più esposte, ne metteva in risalto ancora di più pregi e difetti. Durante le campagne elettorali si procurava i volantini di propaganda di tutti i candidati e di tutte le liste in lizza. Uno dei suoi divertimenti preferiti era quello di dare materiale propagandistico di un politico ai sostenitori dei suoi avversari. Sceglieva con cura le persone da provocare. Capitava di frequente vederlo parlare con elettori dichiaratamente ostili ad un politico e cercare di convincerli a votarlo. "Questa volta bisogna sostenerlo. È cambiato ed ha delle buone proposte" diceva loro con fare serio suscitandone le ire. "Fallo per me" aggiungeva con fare paterno, allungando loro i volantini con il ritratto dell'odiato candidato. Era insistente e tornava alla carica più volte. Così facendo esasperava gli interlocutori, che dovevano fare ricorso a tutto il loro autocontrollo per non sbottare. Non le aveva mai prese di santa ragione solo perché sapeva defilarsi al momento opportuno. Famosa è rimasta la risposta che dette ad un candidato per le elezioni comunali non originario del paese che, non conoscendolo, gli chiese il voto come faceva con tutte le persone che erano andate ad ascoltare il suo comizio in piazza. "Mi prometti il tuo voto?" gli disse
dopo aver cercato di ingraziarselo con un bel sorriso ed una vigorosa stretta di mano. "Certo! L'ho promesso a tutti i candidati, perché a te non dovrei prometterlo!?" gli rispose lasciandolo di stucco e facendo ridere i presenti. Per il provocatore politico le campagne elettorali per le elezioni comunali erano un'occasione per scherzare, sfottere e fomentare discussioni. Per altri erano scadenze antipatiche da affrontare e superare senza traumi, cioè senza compromettere i rapporti con i propri compaesani ed
in particolare con i candidati eletti e quelli non eletti. Ricordo con simpatia la divertente linea di condotta di un anziano compaesano del provocatore politico che nelle stesse campagne elettorali per le elezioni comunali aveva l'abitudine di esternare il proprio favore per tutte le liste in lizza. Egli incoraggiava tutti i candidati che aveva l'opportunità di incontrare; poi, una volta saputo l'esito del voto, si rammaricava con i perdenti, comprendendo se stesso tra coloro che li avevano votati, e si congratulava con i vincitori includendosi nella schiera dei sostenitori. Anche se a parole, cercava di
accontentare tutti i contendenti. Le frasi che usava erano le stesse fin da quando aveva avuto l'opportunità di votare. "Purtroppo abbiamo perso! Ma ci rifaremo la prossima volta" diceva con voce grave ai candidati sconfitti quando li incontrava, dando loro una pacca sulla spalla in segno di solidarietà. "Abbiamo vinto e non poteva andare diversamente, siamo i più forti!" diceva invece ai candidati appartenenti alla lista vincente abbracciandoli calorosamente. Gli avevano insegnato che "Chi comanda fa legge" e pertanto ha il potere di facilitarti o complicarti la vita. Ciò per lui significava che per vivere bene bisognava salire sul carro di chi vince senza mai schierarsi contro i
possibili vincitori futuri e quindi si comportava di conseguenza superando brillantemente il fastidioso appuntamento elettorale. Per rendere credibile il suo appoggio ai candidati in lizza si era sempre recato alle urne scegliendo orari in cui potessero notarlo in tanti. Tuttavia, nonostante avesse partecipato come elettore ad innumerevoli votazioni, nessuno era mai riuscito a capire quali candidati o liste avesse sostenuto. Di certo il suo era un comportamento fatalistico e poco dignitoso, ma era funzionale al quieto vivere suo e della sua famiglia e questo gli bastava. Anche se non era di alto profilo morale, il suo atteggiamento mi faceva lo stesso venire in mente una massima che indica come muoversi con intelligenza nel faticoso cammino della vita. Essa recita: "Per vivere bene bisogna fare come il comandante di una nave, che sfrutta i venti favorevoli, manovra con perizia ed evita gli scogli". Il paese è piccolo e spesso ad uno stesso politico locale capitava di incontrare nel giro di pochissimo tempo l'opportunista che lo adulava e il provocatore che era irriverente o lo blandiva a seconda delle circostanze. In pratica il primo lo faceva fesso e contento per tornaconto personale,
mentre il secondo, per dare spettacolo, o lo adulava per indispettire i suoi avversari o lo sfotteva per irritare lui e i suoi sostenitori. Entrambi lo usavano per i propri scopi. Era interessante vedere le reazioni dei politici oggetto di questa duplice presa per i fondelli. I più saggi, pur facendo un sorrisetto di circostanza, non proferivano parola e passavano oltre. Essi si comportavano in sintonia con il detto "Gli uomini di buonsenso usano spesso il silenzio come risposta". D'altra parte, essere strumentalizzati è la cosa che le persone sopportano meno se sono in grado di rendersene conto. Fanno buon viso a cattivo gioco solo se c'è una convenienza o sono costrette. Le "gesta" dell'anziano opportunista e del provocatore politico mi hanno fatto riflettere sul difficile rapporto tra gli eletti e gli elettori e, più in generale, tra chi comanda e i sottoposti. Grazie ad alcuni detti, sono riuscito a chiarirmi le idee in proposito. Mi hanno convinto soprattutto quelli
che indicano i requisiti necessari per esercitare oculatamente il potere ai vari livelli. Essi recitano: "Per governare bene occorre più carattere che intelligenza", "L'uomo di potere deve essere per metà volpe e per metà leone", "Chi comanda deve essere severo ed amabile nella giusta misura, in modo da suscitare negli altri amore e timore contemporaneamente" e "Per governare bene uno stato bisogna parlare poco ed ascoltare molto".
Buttari Luigi

Il politico politicante pensa alle future elezioni, il politico statista alle future generazioni.

IL PROVOCATORE POLITICO
(TERZA PARTE)

Il comizio del.... provocatore
Nella serata conclusiva di un’importante campagna elettorale....

 

27-11-2014

Il potere è come il fuoco in inverno; non bisogna starci troppo vicini altrimenti ci si scotta, ma neanche troppo lontani altrimenti non ci si riscalda.  

 

IL PROVOCATORE POLITICO

(PRIMA PARTE)

 

Il provocatore di...... litigi

            Era un bastian contrario. Quando qualcuno esaltava in sua presenza le doti di un politico, di una persona famosa, di un sacerdote, lui immancabilmente le sminuiva. Quando qualcuno sosteneva una tesi o dava una spiegazione logica a un evento o ad un fatto, lui diceva l'esatto contrario. Quando aveva a che fare con un bigotto, era anticlericale. Quando si trovava di fronte un fascista, lui esaltava il comunismo. Tutto ciò lo avrebbe reso molto antipatico, se non si fosse distinto con battute, aneddoti e scherzi che rallegravano i componenti della sua comitiva e chi lo conosceva. Prima di diventare astemio, gli capitava anche di alzare il gomito e questo contribuiva a rendere più esilaranti i suoi racconti e i suoi show. A lui i paradossi erano sempre piaciuti, perché gli permettevano di spiazzare gli interlocutori, nonché di attirare l'attenzione delle persone e di stupirle. In altre parole, gli davano la possibilità di trasformare le strade, i locali e le piazze in palcoscenici e gli altri in attori e spettatori. Svolgeva gratuitamente il ruolo di regista e spesso di protagonista di scene divertenti che poi diventavano oggetto di racconto e quindi patrimonio culturale della comunità in cui viveva.

            Il suo spirito di contraddizione lo induceva anche a comportarsi all'opposto rispetto alle altre persone. In un afoso pomeriggio estivo si recò nella piazza del paese indossando provocatoriamente un maglione invernale a collo alto e un cappotto. I suoi compaesani ne conoscevano la giovialità, ma di fronte a quella stravaganza rimasero spiazzati. Vedendolo arrivare imbacuccato in quel modo, alcune signore si sentirono svenire. Non appena mise piede nella piccola piazza, egli suscitò prima lo stupore e poi l’ilarità dei presenti. Un gruppo di loro incominciò a deriderlo e a seguirlo nei suoi spostamenti. Il provocatore sembrava non accorgersi della crescente ressa che aveva al seguito. Anziché reagire agli sfottò, egli girò ogni angolo della piazza con un risolino compiaciuto. Quando il gruppo degli "inseguitori" smise di crescere numericamente, si voltò soddisfatto e, con un sorriso beffardo, esclamò ad alta voce: "Avete visto come sono scemo io? Ecco, voi perdendo tempo dietro di me avete dimostrato di essere ancora più scemi e mi riferisco in particolare al consigliere comunale che è con voi. L'ho votato e pensavo che fosse più serio!". Le persone che lo sfottevano rimasero senza parole e in vergogna. Non avevano fatto una bella figura prendendo in giro un presunto ritardato mentale. "I mediocri tendono istintivamente a coalizzarsi contro i deboli" recita un detto che qualificava inequivocabilmente gli "inseguitori". Per loro sfortuna, però, erano incappati in un raffinato provocatore che aveva smascherato la loro mediocrità. Il consigliere comunale bersaglio delle critiche, visibilmente imbarazzato, incominciò a litigare con chi lo aveva trascinato nella ressa. Il provocatore era riuscito a conseguire lo scopo che si prefiggeva: mettere alla berlina quelli che pensavano di averci messo lui. Inoltre si era tolto la soddisfazione di svergognare lo sprovveduto politico locale e di indurlo a litigare.

            Il provocatore dava il meglio di sé soprattutto nel periodo elettorale e nei giorni immediatamente successivi alle votazioni. Le elezioni amministrative comunali erano quelle che offrivano gli spunti migliori alle sue performance. Quando si avvicina questo tipo di consultazione, i piccoli paesi si animano. A causa delle parentele e dei molteplici interessi personali in gioco, l'eccitazione tende a contagiare l'intera popolazione. Si consideri che nei piccoli centri ci si conosce tutti; di conseguenza, a differenza delle città, la politica e i giudizi su di essa ruotano quasi sempre intorno alle singole persone impegnate localmente e solo limitatamente coinvolgono i loro partiti di riferimento. Il provocatore politico era abilissimo ad inserirsi nelle discussioni che inevitabilmente le elezioni comunali suscitavano e riusciva spesso a farle degenerare; anche perché sapeva scegliere gli interlocutori più idonei allo scopo e stuzzicarli con le argomentazioni giuste. Tra l'altro l'elevata personalizzazione della politica, tipica dei piccoli paesi, lo metteva nelle migliori condizioni per provocare. Ovviamente, per esibirsi al meglio delle sue possibilità, in queste competizioni elettorali simpatizzava sempre per la lista e per i candidati che avevano meno possibilità di successo. Poi, ogniqualvolta se ne presentava l'occasione, provocava gli appartenenti alla lista data per vincente e li sfotteva come se fossero loro i probabili perdenti. "Questa volta vi faremo neri" era una provocazione che ripeteva spesso ai candidati favoriti; soprattutto quando era in compagnia dei loro avversari politici. Chiaramente ciò era fonte di imbarazzo e spesso di litigi; anche perché stuzzicava soprattutto gli attaccabrighe e le persone che, incontrandosi, si guardavano in cagnesco per vecchie ruggini. Quando poi si conoscevano i risultati elettorali, diventava sostenitore dei vincenti e provocava i perdenti. Era facile vederlo in compagnia di persone appartenenti alla lista vincente e sfottere i candidati o i simpatizzanti di quelle sconfitte con frasi tipo: "Ma veramente pensavate di vincere!? Poveri illusi! La prossima volta fatevi gli affari vostri così eviterete figuracce". Ci voleva molto sangue freddo per non cadere nella trappola; anche perché metteva il dito nella piaga dei perdenti nei giorni immediatamente successivi alle votazioni, quando gli animi erano ancora accesi per via della lunga campagna elettorale. Ovviamente nei casi in cui avveniva il litigio, il provocatore politico si defilava per non rimanere coinvolto. Allontanandosi con un sorrisetto beffardo sembrava dire: "Missione compiuta". Quando le sue provocazioni andavano a "buon fine", i veri sconfitti erano entrambi i litiganti. "I furbi esistono perché esistono i fessi" era il detto che mi veniva in mente quando la situazione degenerava. Ovviamente le persone di buonsenso che facevano prevalere la razionalità difficilmente cadevano nel tranello. Il loro comportamento era in linea con la regola di saggezza secondo cui "Quando sentimenti e ragione sono in contrasto è sempre il caso di privilegiare quest'ultima". Osservare questo saggio insegnamento nelle situazioni ad alto impatto emotivo è difficile, ma è l'unico modo per evitare atti inconsulti, nonché scongiurare tragedie ed infinite lotte fratricide. Tutti quelli che hanno avuto questa capacità, non si sono mai pentiti; ecco perché apprezzavo molto i candidati appartenenti alle liste perdenti che non cadevano nelle provocazioni e tiravano dritti facendo un sorrisetto. Essi si comportavano in sintonia con i detti "Il bravo marinaio si vede nella tempesta" e "Il modo più sicuro per vincere una lite è evitarla".

            Tutti nel corso della loro vita debbono fare i conti con il potere. Infatti, all'interno di ogni comunità umana di piccola e grande rilevanza esistono dei rapporti di forza e una gerarchia di poteri, ufficiali o di fatto, nella quale ognuno di noi ha una collocazione precisa. Ciò è vero soprattutto per i gruppi sociali stabili come la famiglia, ma anche per quelli che si formano occasionalmente come le comitive di turisti, dove ci sono sempre persone che comandano decidendo percorsi ed orari delle gite, persone che si adeguano alle loro decisioni e persone che le mettono in discussione. Il nostro successo, la nostra felicità e il nostro prestigio sociale dipendono molto da come ci poniamo nei confronti del potere, nonché della miriade di potenti piccoli e grandi che ci circondano. Il modo in cui le persone esercitano il potere e si rapportano con i potenti è importante per conoscerle e valutarne il valore. Ovviamente il temperamento di un uomo, il suo ceto di appartenenza e la sua formazione culturale giocano un ruolo fondamentale quando fa i conti con il potere e i potenti. C'è un saggio insegnamento che chiarisce molto bene tale rapporto e ci permette di conoscere meglio le persone con cui abbiamo a che fare. Esso recita: "Ci sono quelli che vivono per il potere (gli ambiziosi), quelli che sono sempre succubi del potere (i deboli), quelli che vivono all'ombra del potere (i lacchè), quelli che vivono autonomamente rispetto al potere (le persone indipendenti) ed infine quelli che si ribellano ad ogni forma di potere (gli anarchici). Ognuno di noi appartiene ad una di queste categorie e la sua vita è influenzata notevolemente da questa appartenenza. Ovviamente le persone alla mercè del potere sono la maggioranza. Non a caso si dice "Quando lottano gli elefanti ci va di mezzo l'erba".

 

Buttari Luigi

 

La furbizia è l'unica arma a disposizione dei deboli per fronteggiare i potenti.

 

IL PROVOCATORE POLITICO

(SECONDA PARTE)

 

Il provocatore e l'opportunista 

            Il provocatore politico era un abituale frequentatore della piazza......

19-11-2014

Una parola usata con intelligenza può colpire più di 100 schiaffi.

Un brindisi particolare
La sua vita specchiata permetteva al giustiziere battutista di togliersi vari sassolini dalle scarpe. A lui non si poteva controbattere con la massima "Parla male della mia vita quando la tua sarà un esempio". Era sempre stato poco comprensivo nei confronti delle persone scorrette e di chi commetteva errori a cuor leggero. Questo suo atteggiamento aveva una logica ben sintetizzata dal detto "Perdonando troppo a chi falla, si fa torto a chi non falla". Preferiva ispirarsi alla massima "A brigante, brigante e mezzo" a cui riconosceva una più efficace funzione educativa. Se c'era malafede e superficialità, non faceva mai distinzione tra potenti e povera gente perché per lui gli errori, le prepotenze, le cattiverie erano tali sempre chiunque ne fosse responsabile. "L'ignoranza ingenua e quella malefica sono entrambe pericolose; quest'ultima ha solo l'aggravante dell'intenzionalità" recita una massima che esprime bene il suo pensiero. Era implacabile soprattutto con i recidivi. "Chi inciampa per due volte nella medesima pietra non merita compassione" recita un detto a cui inconsapevolmente ispirava la sua condotta.
Un giorno incominciò fin dal mattino ad offrire consumazioni al bar a conoscenti e passanti come se dovesse festeggiare una ricorrenza. Le persone accettavano ma, come era prevedibile, chiedevano la ragione del brindisi. E lui: "Come, non avete saputo!? Hanno imbrattato di vernice i muri di casa e l'automobile ad una grandissima testa di cavolo!". In effetti, ad una persona spavalda ed antipatica la notte precedente ignoti avevano fatto parecchi dispetti. Non era la prima volta che succedeva. Si trattava sicuramente di una vendetta messa in atto da qualcuno dei suoi numerosi nemici. "Avrebbero dovuto verniciare anche lui. Spero che la prossima volta lo facciano nero. E mi perdoni la vernice!" aggiungeva ad alta voce subito dopo mentre faceva tintinnare il suo bicchiere con quello degli ignari invitati. Lascio immaginare le espressioni esterrefatte e imbarazzate di coloro che avevano condiviso in buonafede, brindando, la sua gioia per i gravi atti compiuti nei confronti di una persona influente e temuta. In quell'occasione mi colpì l'audacia del giustiziere battutista. Egli aveva trovato un modo originale e divertente per infierire su un prepotente che detestavano in molti, ma nessuno aveva il coraggio di affrontare a viso aperto. Sono certo che in quel caso il giustiziere battutista, ridicolizzando il prepotente con la sua stravagante iniziativa, aveva gratificato i suoi nemici più di quanto avessero fatto gli autori dei dispetti notturni.
Per il giustiziere battutista, la stupidità era insopportabile quanto la malvagità. Sebbene non la conoscesse, era un fan della massima "A volte gli stupidi sono peggiori dei delinquenti perché fanno del male senza perseguire nessuno scopo". Non si poteva dargli torto. Di parole ed atti stupidi
che hanno avuto conseguenze anche tragiche ce ne sono stati a iosa in ogni tempo e in ogni comunità umana. Nella società attuale, il bullismo è uno dei fenomeni più odiosi causato dalla stupidità e dalla malvagità. "Sempre e inevitabilmente si tende a sottovalutare il numero di imbecilli in circolazione" e "Le madri degli imbecilli sono sempre incinte" sono solo alcuni dei detti che sottolineano la grande diffusione della stupidità. Lo scienziato Albert Einstein ripeteva spesso: "Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana. Della prima non sono sicuro".
Se la maleducazione era funzionale alla sua visione di giustizia, il giustiziere battutista faceva anche il maleducato. Non salutava per principio chi non stimava. Un pomeriggio d'estate, passando accanto ad un gruppo di persone sedute su una scalinata e chiaramente impegnate a spettegolare, ruttò fragorosamente zittendole per qualche minuto. Il chiacchiericcio riprese più sommessamente dopo che lui si era allontanato un centinaio di metri dall'esterrefatta combriccola. "Chi dice ciò che vuole ascolta ciò che non vorrebbe" sembrava dire con un risolino beffardo mentre svoltava in un vicolo. Le persone del gruppo abitavano nei dintorni ed avevano l'abitudine di "riunirsi" quotidianamente in quel posto strategico del paese per fare le pulci ai numerosi passanti. Per questo venivano poco tollerate da quanti erano costretti a passare di lì per raggiungere il parcheggio delle auto o il cimitero. Nessuno ebbe dubbi sul fatto che il rutto fosse un atto di sabotaggio premeditato nei confronti di quei pettegoli incalliti. I componenti del gruppo non ci misero molto a capire che quella "missione" provocatoria del giustiziere battutista era solo l'inizio di una lunga serie di ritorsioni e conoscendone la determinazione diradarono gli incontri. La battaglia di quest'ultimo contro le chiacchiere inutili e malevoli mi fece venire in mente tre illuminanti detti che valorizzano il silenzio e ne mettono in risalto i vantaggi. Essi recitano: "L'esistenza umana sarebbe migliore se la capacità di tacere fosse pari a quella di parlare", "Ci si pente sovente di aver parlato, raramente di aver taciuto" e "Hai due orecchie e una sola bocca, quindi molto ascolta e poco parla".
Ripensando al giustiziere battutista e alla sua inflessibilità nei confronti di chi sbagliava, ho capito che uno degli impegni prioritari per un uomo di buonsenso intenzionato a fare un cammino esistenziale dignitoso e gratificante deve essere quello di limitare al massimo i propri errori nei vari ambiti in cui si muove quotidianamente ed in particolare in quello familiare e professionale. Occorre convicersi quanto prima che commettere sbagli di piccola e grande rilevanza significa influenzare negativamente il proprio destino, anche se in misura e modi diversi. "Chi è debole perde e chi perde non conta" recita un illuminante detto e siccome gli errori fanno perdere autorevolezza, rendono deboli ed espongono alle critiche altrui essi sono la chiave per spiegare tanti fallimenti in famiglia, nei rapporti interpersonali e nel lavoro. In altre parole, sono all'origine di tanta infelicità umana. Cause di errori sono la superficialità, la presunzione, il seguire i luoghi comuni, nonché l'interferenza dei sentimenti nei ragionamenti perché ne compromettono la lucidità. Tra l'altro gli errori sono difficilmente occultabili perché gli uomini, anche i meno intelligenti, sono molto perspicaci nell'individuarli e altrettanto perseveranti nel farli espiare ai propri simili.
Ricordo con piacere il giustiziere battutista perché svolgeva una eccellente funzione educativa e moralizzatrice. Lo faceva con metodi spicci ridicolizzando chi si rassegnava a convivere con i peggiori vizi umani senza provare minimamente a correggerli o combatterli. D'altra parte tollerare, comprendere e giustificare sono atteggiamenti che peggiorano quasi sempre le cose, come si evince dal detto "Il medico pietoso rende la ferita inguaribile". Ne è la prova la società attuale,
che tende ad essere rigorosa con gli onesti e tollerante con i disonesti e ciò sta producendo guasti sociali gravi e durevoli.
Il giustiziere battutista si arrabbiava quasi sempre a ragion veduta e questa è una capacità che solo le persone non comuni hanno, come ben spiega la massima secondo cui "Chiunque può arrabbiarsi (questo è facile); ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel modo giusto, al momento giusto e per lo scopo giusto non può farlo chiunque perché questo è difficile". Egli ha avuto il merito di far riflettere le persone sui loro comportamenti mediocri e le ha indotte a non accettare acriticamente usanze e abitudini sbagliate. Con la sua intransigenza, il giustiziere battutista ha educato gli altri alla responsabilità. Senza conoscerlo, ha messo in pratica il detto che recita "Le critiche fanno svegliare, le lodi addormentare".
Come capita spesso, ho apprezzato in ritardo la battaglia solitaria del giustiziere battutista contro tutti quegli atteggiamenti non all'altezza della dignità umana. Sebbene sia morto da vari anni, sono ancora in tanti a ricordarlo con stima e affetto. Fra questi, ci sono anche molte sue vittime. Ciò è la conferma della validità del detto "Una parola vera non ferisce mai in modo definitivo".
Buttari Luigi
Il potere è come il fuoco in inverno; non bisogna starci troppo vicini altrimenti ci si scotta, ma neanche troppo lontani altrimenti non ci si riscalda.

IL PROVOCATORE "POLITICO"
Era un bastian contrario. Quando qualcuno esaltava in sua presenza le doti di un politico.....

12-11-2014

Chi parla in faccia non è traditore.

IL GIUSTIZIERE BATTUTISTA

Il rione......"defunto"
Era famoso per le sue battute micidiali con cui metteva in ridicolo quelli che non gli andavano a genio. Era irriverente e non le mandava a dire. Una volta che aveva preso di mira qualcuno, ogni occasione era buona per provocarlo e sfotterlo pubblicamente e tale trattamento andava avanti a lungo. Era bravissimo a ridicolizzare i difetti e i punti deboli delle persone, nonché ad esaltarli quando doveva sfotterle o colpirle. La bassa statura, le orecchie grandi, il naso aquilino, la calvizie, la magrezza, l'obesità erano tutti spunti per sbeffeggiare quelli che lo indispettivano. Conoscendone la determinazione e il sarcasmo, erano tanti quelli cercavano di tenerlo buono per non diventare bersaglio delle sue battute. Era imprevedibile e prontissimo nel rispondere a chiunque volesse ingaggiare un duello verbale con lui.
Il giustiziere battutista era sempre stato battagliero; ecco perché quelli che si erano azzardati ad intimorirlo o minacciarlo si contavano sulla punta delle dita. Si era fatto la fama di duro in gioventù allorché aveva osato sfottere alcuni intoccabili senza subire ritorsioni e questa aureola di invincibilità lo aveva accompagnato per tutta la vita. Qualche temerario che aveva provato a contrastarlo con le battute ne era uscito con le ossa rotte; anche perché aveva la capacità di prolungare lo scontro fino a sfinire quanti osavano sfidarlo sul suo terreno.
Detestava le persone superficiali e quelli che parlavano a vanvera perché causavano malintesi, distorcevano fatti e falsavano opinioni. Una sera un suo coetaneo che aveva l'abitudine di aprire bocca e darle fiato, stufo di essere preso di mira pubblicamente da questo irrequieto personaggio, ingaggiò un acceso duello con lui a suon di battute e sfottò. Ce la mise tutta e riuscì a tenergli testa per un buon quarto d'ora. Alla fine fu annichilito da una sua battuta bruciante. "Non posso rinunciare alle mie otto ore di sonno; per questa volta ti lascio vincere" gli disse il giustiziere battutista con la faccia da schiaffi che lo contraddistingueva e se ne andò lasciandolo con un palmo di naso.
Essere messi in ridicolo pubblicamente non piace a nessuno. "Con il ridicolo addosso crolla pure un colosso" recita un detto che è difficile non condividere. Questa verità il giustiziere battutista la conosceva bene e la sfruttava per tenere in pugno chi prendeva di mira. Un suo punto di forza era indubbiamente la faccia di bronzo che lo rendeva impermeabile a insulti, battute e critiche. Un altro era la franchezza, che lo rendeva degno di rispetto perché è indice di coraggio. Per metterlo alla prova, una sera i suoi amici lo portarono in una trattoria della Capitale famosa per l'accoglienza a base di battute pesanti e a sfondo sessuale che i camerieri riservano ai clienti. Uscì vincente dallo scontro. Agli sfottò replicava con altri sfottò più pesanti rincarando continuamente la dose. Non esitava a tirare in ballo i familiari di quanti cercavano di prenderlo in giro se le sue battute non li inducevano a più miti consigli. A metà cena i camerieri avevano già gettato la spugna sfiniti dalla raffica di battute pungenti, allusioni e risposte spiazzanti del giustiziere battutista. Egli era riuscito
in un'impresa più unica che rara in quel locale: ridicolizzare agli occhi dei clienti il personale, che si distingueva per invadenza e sfacciataggine. Grazie a lui, per una volta le parti si erano invertite e i clienti avevano riso dei camerieri.
Il giustiziere battutista era visto come un vendicatore implacabile; anche perché aveva il fare di chi deve svolgere con severità una missione educativa. Non a caso si immischiava spesso in faccende che non lo riguardavano direttamente. Quando ne aveva l'opportunità, sfidava e metteva alla berlina soprattutto i seccatori, gli avari, i superbi, gli ipocriti, i prepotenti, gli imbroglioni, i ruffiani, gli opportunisti, i palloni gonfiati e gli esibizionisti. Non sopportava neanche i tifosi esaltati. Un'estate in paese furono organizzate delle gare sportive e popolari rionali che accesero molto gli animi. Alla fine perse le competizioni più importanti proprio il rione dove abitavano i tifosi più esasperati, che lui aveva provocatoriamente sfottuto più volte prima, durante e dopo le gare, nonostante di queste non gli importasse nulla. Saputi i risultati, andò ad affiggere in pieno giorno dei manifesti mortuari con il nome della contrada proprio nel rione perdente, ma nessuno osò dirgli nulla. Anzi, sebbene fossero stati messi in ridicolo da quella iniziativa, molti dei tifosi più esasperati si sforzarono di riderci su. Conoscendo la pasta del provocatore, sapevano che una loro reazione rabbiosa o risentita li avrebbe esposti a conseguenze peggiori.
Il giustiziere battutista classificava le persone in base all'intelligenza dei loro discorsi e dei loro comportamenti, ma teneva nel dovuto conto anche la loro buonafede o malafede. Usando questo metro di giudizio, egli aveva diviso le persone con cui aveva a che fare in categorie ben precise e per ognuna di queste adottava l'atteggiamento più opportuno. Era rispettoso e delicato con le persone di buonsenso, umili e in buonafede, mentre era sprezzante e implacabile con quelle malvage ed in malafede. "I malvagi e i mediocri capiscono solo la durezza" è un detto a cui il giustiziere battutista si ispirava quando affrontava gli individui peggiori. La sua suddivisione degli uomini in categorie mi faceva venire in mente una illuminante massima a cui lui inconsapevolmente faceva riferimento nel classificare le persone. Essa recita: "Gli ignoranti parlano a vanvera, i fessi sempre, i furbi quando conviene e i saggi quando è il caso".
Nonostante il giustiziere battutista fosse un tipo originale, godeva di una certa considerazione e rispetto da parte delle persone perbene. L'autorevolezza gli era conferita dal fatto che nella vita aveva cercato di comportarsi secondo gli elementari principi di civiltà e di buonsenso e quindi non era facile trovargli delle pecche; anche perché, essendo molto furbo, le poche magagne e debolezze che gli altri potevano rinfacciargli era riuscito a non farle diventare di pubblico dominio. Per lui la riservatezza era fondamentale per vivere bene. Da uomo di esperienza quale era, sapeva che mettere gli altri al corrente dei nostri sforzi, dei nostri errori e delle nostre debolezze significa perdere punti ai loro occhi. Aveva ragione. Così facendo, mettiamo anche frecce nell'arco dei nostri nemici presenti o futuri e questo ci rende più vulnerabili, mentre essere riservati con tutti, comprese le persone a noi più vicine, ci facilita la vita e ci ingrandisce agli occhi degli altri. Questa linea di condotta trova conforto anche nel detto che recita: "Non dire le tue miserie, affinché i tuoi nemici non ne gioiscano".
Un giorno affrontò un signore che approfittava di ogni occasione per mettersi al centro dell'attenzione e gli chiese provocatoriamente se nel pomeriggio anche lui avrebbe partecipato ad una gara di calcio. Lo fece proprio quando questi si stava vantando di aver organizzato l'incontro sportivo in presenza di altri. Essendo una persona che considerava questi eventi occasioni imperdibili per mettersi in mostra, fulminò il giustiziere battutista con un'occhiata e rispose indispettito: "Ma cosa dici!? Lo sai che senza di me non si gioca". "E che sei il pallone!" replicò quest'ultimo mandandolo contemporaneamente a quel paese. L'uomo rimase di stucco e non riuscì neanche ad abbozzare una reazione, mentre i presenti trattenerono a stento le risa. Il giustiziere battutista non sopportava questo signore proprio perché era un esibizionista il cui unico scopo era darsi importanza. Lo aveva provocato con il proposito di sbeffeggiarlo pubblicamente e, stando alla reazione divertita dei presenti, c'era riuscito in pieno. Questo episodio mi fece riflettere sulle ragioni che determinano la mancanza di rispetto nei confronti di una persona. Mi vennero in mente tre detti che mi chiarirono le idee. Essi recitano: "Se vuoi che la gente pensi bene di te, non parlare bene di
te", "Non bisognerebbe mai parlare di se stessi perché se se ne parla bene è segno di vanità, se se ne parla male è segno di debolezza" e "Più meriti ostentiamo, meno stimati siamo".
Una parola usata con intelligenza può colpire più di 100 schiaffi.

Un brindisi particolare
La sua vita specchiata permetteva al giustiziere battutista di togliersi vari sassolini dalle scarpe. A lui non si poteva controbattere con la massima.....

05-11-2014

IL FATALISTA FILOSOFO (continuazione)

Un giorno di sconforto è un giorno perduto e la vita è fatta di giorni.

La spesa "esagerata"
Le disavventure automobilistiche non erano le sole con cui il fatalista filosofo aveva dovuto fare i conti. Egli era appassionato di ciclismo. Un pomeriggio acquistò una bici da corsa nuova. Fremeva all'idea di provarla subito ma, abitando in una zona urbana molto trafficata, rimandò la pedalata a tarda sera. Verso mezzanotte indossò il suo completo da ciclista, inforcò la bici e iniziò una folle corsa su una delle strade principali del suo quartiere. Questa era larga, piana, dritta e ben illuminata. "A quell'ora non c'era anima viva e non resistetti alla tentazione di andare a tutta birra, nonostante di solito fossi prudente" raccontò tempo dopo ad un gruppo di amici. Poi aggiunse: "Per circa mezzo chilometro andò tutto liscio ma, sul più bello, ecco l'imprevisto. In prossimità di un incrocio un'automobile non rispettò lo stop e mi tagliò improvvisamente la strada. Ero lanciatissimo e la macchina pirata si trovava ad una decina di metri da me. In quel momento ritenni che prenderla in pieno fosse la soluzione migliore per me". A queste parole i suoi amici scoppiarono in una fragorosa risata. Solo un tipo originale come lui poteva decidere di investire un'auto pirata con una bicicletta, anziché cercare di evitarla sterzando bruscamente. Il fatalista filosofo fece un sorrisetto tipico di chi sa di aver fatto la scelta giusta. Poi riprese: "Il bello è che l'automobilista agevolò suo malgrado la mia manovra da kamikaze. All'ultimo momento frenò e la sua vettura si trasformò in una barriera fissa contro cui mi schiantai violentemente. Rimasi illeso. Per quanto fosse paradossale, l'idea di 'speronare' di proposito la macchina si era rivelata opportuna perché mi evitò sbandamenti pericolosi e conseguenze sicuramente più gravi. Nonostante lo scontro fosse stato impari data la sproporzione esistente fra i due mezzi coinvolti, il pirata della strada ebbe la peggio dal punto di vista dei danni materiali". Gli amici lo guardarono perplessi. Lui fece una breve pausa; poi spiegò: "Dopo l'impatto la situazione era la seguente: la mia bici aveva le ruote in parallelo tipo carrozzina per invalidi. Io ero con le ginocchia sul cofano motore dell'auto pirata e la faccia spiaccicata sul parabrezza, lato autista. Anche lui aveva la faccia premuta contro il vetro proprio sopra lo sterzo. Mi guardava allibito. Le nostre facce deformate come due maschere ridicole rimasero alcuni secondi una contro l'altra separate da pochi millimetri di vetro. Ci conoscevamo. Per superare l'imbarazzo, non trovai di meglio che abbozzare un sorrisetto ironico e salutarlo con la mano sinistra". Quando sia il filosofo fatalista sia il pirata della strada si ricomposero e si misero a valutare i danni, si accorsero che la bici era sì andata distrutta ma, complici la velocità e la stazza del ciclista, nell'impatto il manubrio ed altre parti metalliche avevano urtato contro la fiancata sinistra dell'auto facendo non pochi danni alla carrozzeria e lesionando il finestrino. Senza contare che, piombando con il suo peso sul cofano dell'utilitaria, il fatalista filosofo lo aveva affossato vistosamente. "Se mi fossi scontrato con un camion forse mi sarebbe andata meglio!" disse sconfortato lo "sfortunato" pirata della strada quando si rese pienamente conto della situazione. "Grazie al mio peso e alla mia foga, avevo trasformato la mia bici in un missile" disse sornione il fatalista filosofo ai suoi amici facendoli ridere di gusto. Non rispettare il codice della strada era
costato caro all'automobilista indisciplinato. Come faceva quasi sempre, il fatalista filosofo aveva sdrammatizzato e reso comico l'incidente sia quando si era verificato sia raccontandolo ai suoi amici tempo dopo. Il suo comportamento nelle circostanze più difficili dimostrava che era un maestro di combattimento dei pensieri negativi. La sua linea di condotta era continuamente ispirata al detto "O elimini i pensieri negativi o i pensieri negativi elimineranno te". I nefasti effetti sulla salute di questi ultimi sono noti a tutte le persone di buonsenso. Meno visibili, ma altrettanto devastanti sono i loro effetti sulla nostra vita sociale e di relazione, come ben sintetizza il saggio insegnamento secondo cui "A chi è vittima di pensieri negativi è difficile che capitino situazioni, occasioni ed incontri positivi". D'altra parte, noi siamo ciò che pensiamo. Se pensiamo con serenità, appariremo sereni e susciteremo serenità intorno a noi. Se siamo in preda all'ira, l'irascibilità contraddistinguerà la nostra persona e la nostra condotta con conseguenze nefaste sulle nostre relazioni interpersonali. Per tutte queste ragioni è opportuno frequentare il più possibile persone positive e concentrarsi su pensieri costruttivi cercando di essere felici per quel che si ha. Tra l'altro, i pensieri e i sentimenti negativi non indeboliscono solo il nostro sistema immunitario, ma anche la nostra capacità di amare, di volere e di sperare. In altre parole, avere una visione negativa della vita ostacola la nostra affermazione sociale. "La capacità di persuasione della persona amareggiata e risentita è di gran lunga inferiore rispetto a quella della persona serena" recita una massima che sottolinea l'opportunità di conservare il più possibile l'animo lieto se si vuole assicurare forza e successo alle proprie idee. Il fatalista filosofo aveva capito che per vivere bene occorre sforzarsi di individuare i lati positivi negli altri e in ciò che accade perché questa buona abitudine, oltre ad avere benefiche ripercussioni sulla salute, permette di acquisire una formazione mentale costruttiva ed un buon equilibrio interiore. Anche un'altra verità gli era ben chiara. Essa è sintetizzata dal detto "La persona ragionevole si adatta intelligentemente al mondo; quella irragionevole cerca di adattare il mondo a sé". Anche grazie a lui ho imparato ad apprezzare questa massima che, a mio avviso, segna inequivocabilmente il confine più importante tra la saggezza e la stoltezza.
Un'estate il fatalista filosofo rimase coinvolto in una divertente situazione in Grecia, dove si trovava per motivi di lavoro, per via della sua mancanza di dimestichezza con la lingua locale e della sua incompetenza in fatto di cambi monetari (allora in quel paese c'era la dracma). Un pomeriggio uscì dall'albergo in automobile per fare un giro nei dintorni. Il caldo era torrido e l'arsura insopportabile. Così, non appena vide due carretti carichi di meloni e cocomeri parcheggiati lungo la strada, si fermò per comprare uno di quei succosi frutti e spegnere la sete. "Feci un rapido calcolo, basandomi sul valore dei meloni in lire" raccontò "poi detti alcune dracme a uno dei due commercianti ed indicai il carretto dei meloni. I venditori si guardarono perplessi e rimasero immobili. Vedendo quella reazione, ritenni di aver fatto mio malgrado la figura del micragnoso e mi sentii a disagio. La situazione di imbarazzo durò svariati secondi. Poi, uno dei venditori ruppe gli indugi; aprì il cofano della mia macchina e vi mise dentro un melone, poi un altro, poi un altro ancora. Dandosi il cambio con il collega lo riempirono fino all'inverosimile e a fatica lo chiusero, mentre io guardavo stupito il carretto di meloni rimasto ormai vuoto. Accesi la macchina per andarmene, ma uno dei due commercianti mi si parò davanti e mi indicò il carretto carico di cocomeri fermo sull'altro lato della strada. Nel frattempo, il suo collega aveva già aperto la portiera posteriore della mia automobile e si apprestava a srotolare della carta paglia sul sedile per sistemarvi chissà quante angurie. Rischiavo di essere sommerso dai cocomeri. Chiusi la portiera posteriore senza scendere dall'automobile, salutai frettolosamente i due commercianti affacciandomi dal finestrino e fuggii via a tutta velocità. C'era il concreto pericolo che sganciassero il carretto di cocomeri dall'asino che lo trainava e lo agganciassero dietro alla mia vettura. Ancora oggi mi chiedo quanto costassero meloni e cocomeri in Grecia in quel periodo".
Quando penso al fatalista filosofo mi viene spesso in mente una saggia raccomandazione in cui mi sono imbattuto nelle mie ricerche sulla saggezza. Dedicargliela è il minimo che possa fare per lui, perché è una delle persone che con la sua condotta ed i suoi insegnamenti mi ha indicato alcuni sentieri utili per districarmi nell'impervio cammino della vita conservando il buonumore. Essa recita: "Ricordati che oggi incontrerai uno stolto che metterà a dura prova la tua bontà e la tua
pazienza, un maldicente che sparlerà di te, un furbo che cercherà di usarti, un presuntuoso che pretenderà di avere ragione a tutti i costi, un prepotente che cercherà di sopraffarti, un iracondo che ti trasmetterà rabbia. Ma tu non ti lascerai turbare più di tanto, perché sarai in compagnia di un moderato che frenerà le tue reazioni, un buono che tramuterà in bene tutto il male che riceverai, un saggio che ti guiderà sulla retta via e ti farà prendere delle buone decisioni, ovvero sarai in compagnia di te stesso".
Buttari Luigi


Chi parla in faccia non è traditore.

IL GIUSTIZIERE BATTUTISTA
Era famoso per le sue battute micidiali con cui metteva in ridicolo quelli........

29-10-2014

FATALISTA FILOSOFO parte 2
Una buona filosofia di vita è la più ricca eredità che un padre possa lasciare ai propri figli.

Gli incidenti di un....."filosofo"
Quando gli riferivano pettegolezzi e calunnie sul suo conto, il fatalista filosofo li ascoltava con un'espressione sorridente e meravigliata senza fare domande. Poi ringraziava le persone che gli facevano la "soffiata" e lasciava cadere il discorso. Ovviamente era un modo elegante per liquidarle. La sua reazione assomigliava molto a quella che, in circostanze analoghe, aveva un personaggio pubblico famoso per la sua imperturbabilità e per le battute ironiche con cui sdrammatizzava le situazioni serie. Dopo aver ascoltato con pazienza ciò che le malelingue dicevano di lui, commentava sempre così: "Oggi ho saputo su di me cose che io stesso ignoravo".
Il fatalista filosofo non aveva mai sopportato i calunniatori e i pettegoli perché li riteneva persone mediocri e pericolose che rovinavano con facilità - sia con cattiveria sia stupidamente - reputazione ed esistenze altrui, spesso con argomentazioni false o basandosi su dicerie; ecco perché evitava accuratamente di farsi coinvolgere nei loro chiacchiericci. Tra l'altro, egli era ben consapevole del detto: "Chi ti parla male degli altri, prima o poi parlerà male di te agli altri" e questo era un motivo in più per tenere a distanza quanti avevano l'attitudine alla maldicenza. Questa sua avversione per la mediocrità mi faceva venire in mente una massima che insegna alle persone a comportarsi all'altezza della loro dignità. Essa recita: "Ogni nostro pensiero o ci migliora o ci fa peggiorare; ecco perché tutto ciò che pensiamo merita un'attenta e coscienziosa valutazione".
È rimasta famosa la singolare penitenza che un santo aveva dato ad una signora che, in confessione, gli aveva confidato di essere incline alla maldicenza. Dopo averla assolta, le disse di andare a casa, di prendere una gallina e di tornare da lui spiumandola lungo la strada. Quando fu di nuovo davanti a lui, le disse di tornare a casa e di raccogliere una ad una tutte le piume che aveva lasciato cadere. "È impossibile, il vento le ha disperse!" rispose perplessa la signora. "Vedi - le disse il santo - come è impossibile raccogliere le piume una volta sparse al vento, così è impossibile ritirare le mormorazioni e le calunnie una volta che sono uscite dalla bocca". Un filosofo greco combatteva i pettegolezzi e le calunnie filtrando preventivamente le informazioni che qualcuno si apprestava a riferirgli. Prima di sapere una notizia, egli chiedeva al suo informatore se ne aveva accertato la veridicità e se era utile per qualcosa. Se capiva che si trattava di una semplice diceria, non voleva saperla.
La saggezza popolare è ricca di proverbi su come difendersi dai pettegolezzi e dalle calunnie. "A parole sceme opponi orecchie sorde" e "Degli orecchi questo è l'uso: uno aperto e l'altro chiuso" sono solo alcuni di essi. Il fatalista filosofo non conosceva tanti aneddoti e proverbi
sulla maldicenza, ma era una persona di buonsenso ed aveva rispetto per il prossimo e ciò era sufficiente per indurlo ad avere un comportamento sociale dignitoso. Egli aveva anche un modo originale ma efficace di difendersi dalle critiche e dagli sfottò. Quando qualcuno gli faceva notare i suoi errori e i suoi difetti, anziché prendersela, la maggior parte delle volte la buttava sul ridere dando risposte diplomatiche tipo "sbagliando si impara, quindi lasciatemi sbagliare", "chi è senza peccato scagli la prima pietra" o "sono consapevole dei miei limiti, ma anche di non essere circondato da giganti". Questo atteggiamento scanzonato era in linea con due detti che, se messi in pratica, sono una valida terapia antistress. Essi recitano: "Beato l'uomo che sa ridere di se stesso; non smetterà mai di divertirsi" e "Bisogna imparare a ridere dei propri difetti in modo da togliere ai propri nemici il piacere di farlo".
Il fatalista filosofo come automobilista non aveva mai avuto una vita facile. Lo testimoniano gli innumerevoli incidenti, per fortuna mai gravi, in cui era rimasto coinvolto. "Purtroppo, quando guido la macchina, la fortuna va in senso contrario" ripeteva abbozzando un sorriso quando qualche persona invadente gli rammentava le sue disavventure automobilistiche. Tuttavia, anche quando era coinvolto in incidenti, il suo carattere e la sua visione della vita gli venivano in soccorso e lo aiutavano a contenere lo stress. Tanto che li raccontava quasi con divertimento agli amici mettendoli di buonumore anziché angosciarli.
Non avendo il garage, egli parcheggiava abitualmente la sua automobile sotto casa. Una sera d'estate, mentre era affacciato alla finestra a godersi il fresco, vide una sua vicina di casa fare delle manovre maldestre davanti alla sua auto con una macchina di grossa cilindrata. Era reduce da tanti incidenti e quindi si allarmò immediatamente. "È difficile che me la scampi; a meno che non scenda in strada lanciandomi dalla finestra come Spiderman" disse tra sé e sé guardando perplesso l'evolversi della situazione. "Non feci in tempo a terminare queste riflessioni che la signora mi fracassò in retromarcia i fari e il fascione parafango dell'automobile; le mie infauste previsioni purtroppo si erano rivelate esatte" raccontò. Poi aggiunse: "A quel punto avevo due possibilità: arrabbiarmi con la signora o prenderla con filosofia e trovare una soluzione al problema. Nel primo caso avrei fatto due fatiche: quella di arrabbiarmi, poi quella di calmarmi e comunque avrei dovuto trovare una soluzione; nel secondo caso, dovevo solo trovare la soluzione senza litigare e stressarmi inutilmente. Valutai quest'ultima scelta come la più conveniente per me dato che la rabbia non avrebbe cambiato la situazione, ma solo complicato le cose. Feci un bel respiro, aprii la porta di casa e mi misi in attesa". Il fatalista filosofo, anche nei momenti di agitazione, difficilmente rinunciava al linguaggio forbito e alle pause studiate; neanche in questa circostanza lo fece. Non appena vide la donna salire le scale che portavano al suo appartamento con il chiaro intento di avvertirlo del danno, uscì sul pianerottolo, le andò incontro e, facendo buon viso a cattivo gioco, le disse: "Venga signora sono al corrente dell'accaduto e la stavo aspettando. Non si preoccupi, chiariremo tutto". La donna era visibilmente mortificata e la cordialità del fatalista filosofo le risollevò il morale; fu ben felice di sistemare la questione dal punto di vista assicurativo in un clima sereno. Trattenere la rabbia e affrontare la situazione con filosofia era stata ancora una volta la scelta giusta. Questa vicenda mi fece venire in mente un insegnamento del Mahatma Gandhi, la cui autorevolezza scaturiva anche dalla coerenza dei suoi comportamenti con quanto predicava. Egli diceva: "Ho imparato mediante amare esperienze a preservare la mia rabbia. E, come il calore che non si disperde si trasforma in energia, così la nostra rabbia dominata si trasforma in una forza capace di muovere il mondo".
Un giorno il fatalista filosofo fu costretto ad incolonnarsi con la sua utilitaria in una strada del centro per via dell'intenso traffico. Si era appena fermato quando la vettura che lo seguiva, a causa di una distrazione del guidatore, lo tamponò violentemente. Non fece neanche in tempo a rendersi conto di quanto stava accadendo che un'altra vettura urtò quella dietro alla sua, già
responsabile del primo tamponamento, spingendola in avanti e provocando un secondo forte impatto ai suoi danni. A questo punto, il fatalista filosofo aprì la portiera e rotolò letteralmente fuori dalla sua macchina. Alzatosi e messosi precipitosamente in salvo sul marciapiede, si rivolse ai due automobilisti che lo seguivano e, facendo un ampio gesto liberatorio, disse: "E adesso fate un po' come cacchio vi pare, tanto sono sceso!". Il suo buonumore era duro a morire. Lui non era il Mahatma Ghandi, ma si sforzava di rendere i suoi comportamenti coerenti con la sua positiva filosofia di vita soprattutto nei momenti di difficoltà e questo era un bene per lui e per gli altri.
Una volta, però, il buonumore del fatalista filosofo fu messo a dura prova. A causa della strada ghiacciata, la sua automobile sbandò finendo addosso ad un muro. Fortunatamente lui rimase illeso, ma la vettura subì rilevanti danni ad una fiancata. "Capita anche questo" pensò tra sé e sé e, pragmatico come era, chiamò un carro attrezzi e la fece portare dal suo carrozziere di fiducia. Dopo una settimana gli fu riconsegnata. Era stata riparata alla perfezione. L'intera carrozzeria era stata anche lucidata, tanto che sembrava appena uscita dalla fabbrica. Per una settimana si era dovuto arrangiare per gli spostamenti. Avendo di nuovo a disposizione l'automobile, ne approfittò subito per sbrigare alcune faccende rimaste in arretrato. Per stare più tranquillo, non la parcheggiò negli appositi spazi ai lati delle strade del suo affollato quartiere, ma in un piccolo spiazzo appartato nelle vicinanze del negozio di un suo amico che era al corrente del suo ultimo incidente. Si era appena allontanato quando un camioncino carico di merce che doveva scaricare nei paraggi arrivò proprio in quel piccolo largo per fare manovra. Nel fare retromarcia, non frenò tempestivamente e urtò contro l'automobile del fatalista filosofo causandole quasi gli stessi danni di una settimana prima. L'autista del camioncino si recò tutto mortificato nel vicino negozio per chiedere se qualcuno conoscesse lo sfortunato proprietario dell'automobile in modo da rintracciarlo e sbrigare le pratiche assicurative. Il negoziante, trattandosi della macchina del suo amico che aveva visto parcheggiare pochi minuti prima, si attivò per trovarlo. Non ci mise molto ad individuarlo in un ufficio lì vicino ma, sapendo del precedente incidente, si guardò bene dall'anticipargli la brutta notizia. "Di che si tratta?" disse il fatalista filosofo al suo amico negoziante allorché questi lo invitò a tornare subito dove aveva parcheggiato perché c'era un signore che lo aspettava. "Non saprei!" gli rispose asciutto il negoziante dirigendosi di buon passo verso lo spiazzo in modo da costringerlo a seguirlo senza dargli il tempo di rivolgergli altre domande. Il fatalista filosofo si trovò in un batter d'occhio in prossimità della sua automobile, anche se non riusciva a vederla essendo coperta dal camioncino. L'autista di quest'ultimo, vedendolo arrivare e immaginando che fosse stato messo al corrente dell'accaduto, gli si prostrò davanti chiedendo più volte scusa senza mai citare l'incidente. "Chi è questo signore, cosa vuole da me?" chiese il filosofo perplesso rivolgendosi ad alcune persone che si erano avvicinate in quel posto richiamate dal rumore dell'incidente. Nessuno osò rispondere. "Beh, andiamo a vedere!" mormorò il fatalista filosofo aggirando sconsolato il camioncino. Considerando il contesto e la sfortuna che lo perseguitava come automobilista, solo di un danno alla sua auto si poteva trattare. "Noooo!" urlò, mettendosi le mani fra i pochi capelli che aveva, nel vedere come era ridotta la fiancata appena riparata della sua auto. L'autista del camioncino gli ribadì, ancora più mortificato e quasi piangendo, la sua disponibilità ad assumersi la colpa e a risarcirgli il danno tramite l'assicurazione. "Mi devi scusare, non l'ho fatto apposta" aggiunse con un filo di voce. "Capo lei ha ragione, io non ce l'ho con lei, ma deve consentirmi di incacchiarmi!" rispose piccato il fatalista filosofo e gli scapparono un paio di parolacce. Era un buono, ma sfogarsi e sbraitare contro l'accanirsi della sfortuna era il minimo che potesse fare in quell'occasione. Per una volta, senza eccedere, aveva accantonato la sua visione filosofica della vita e il suo stile, ma era pienamente giustificato. Era un filosofo, non un santo. Tuttavia si rasserenò subito e l'incidente si chiuse con una cordiale stretta di mano tra lui e l'autista del camioncino.
Un giorno di sconforto è un giorno perduto e la vita è fatta di giorni.

La spesa "esagerata"
Le disavventure automobilistiche non erano le sole con cui il fatalista filosofo aveva dovuto fare i conti. Egli era appassionato di....

22-10-2014

Non affannarti inutilmente; un giorno il mondo farà a meno di te. 
IL FATALISTA FILOSOFO

L'invitato..... sconosciuto
Il personaggio era di quelli che suscitavano subito simpatia perché raccontava i fatti e 
descriveva le situazioni con dovizia di particolari, una precisione esagerata ed un linguaggio 
appropriato, nonostante nella vita facesse l'operaio e non avesse frequentato scuole di livello alto. 
La sua voce squillante e la sua chiarezza espositiva non lasciavano spazio al dubbio. Quando 
parlava usava dei toni solenni e una gestualità vistosa. Spesso aveva un atteggiamento professorale, 
ma non era altezzoso; ecco perché era piacevole conversare con lui. Non vestiva mai in modo 
ricercato; neanche nelle cerimonie o nei giorni di festa e questo contribuiva a mettere a proprio agio 
le persone che avevano a che fare con lui. Era talmente scrupoloso nelle spiegazioni e nelle 
ricostruzioni degli eventi che un giorno ebbe a dire: "Se avessi fatto il medico, dal mio studio il 
paziente sarebbe uscito o con il morale a terra o completamente risollevato". Tuttavia la pignoleria 
non lo rendeva mai antipatico; anzi, faceva diventare ancora più spassosi e interessanti i suoi 
racconti, nonché le numerose metafore a cui ricorreva per spiegare meglio i concetti.
Fondamentalmente era un buono e difficilmente si arrabbiava. Non si scagliava mai contro il 
destino avverso, ma si limitava a prendere atto fatalisticamente di ciò che nella vita gli andava 
storto, come fosse una malattia che non si può prevenire e quindi conviene conviverci nel migliore 
dei modi. Aveva i suoi difetti, ma la sua filosofia di vita mi attirava perché era fondata su una 
intelligente e costante sdrammatizzazione di eventi tristi e negativi. Il proverbio a cui il fatalista 
filosofo ispirava inconsapevolmente la sua vita era "Sorridi ogni volta che puoi: anche se gli altri 
non crederanno che sei sempre felice, capiranno che sei forte". 
"Bisogna prendere atto della realtà" era una delle frasi che il fatalista filosofo ripeteva 
spesso; soprattutto quando si trovava di fronte ad eventi ineluttabili. Il suo realismo mi faceva 
venire in mente l'insegnamento di un maestro di pensiero che invitava a non stressarsi inutilmente 
combattendo contro i mulini a vento. Esso recita: "Il problema si può risolvere? E allora perché ti 
preoccupi!? Il problema non si può risolvere? E allora perché ti preoccupi!?". Anche quando era 
angosciato o stava male, il fatalista filosofo difficilmente lo dava a vedere. Questo suo 
atteggiamento era molto in sintonia con il detto "Nella vita bisogna imparare a soffrire senza 
lamentarsi". La convenienza di tale condotta è spiegata da un'altra illuminante massima che recita: "Se stai male cerca di non piangere perché, se piangi, chi non capisce ride, chi ti odia gioisce e chi ti 
vuole bene soffre". 
La sua notevole forza d'animo il fatalista filosofo la dimostrò quando morì all'improvviso la 
sua vecchia madre, a cui era legatissimo. Dopo pochi minuti di comprensibile smarrimento vissuti 
in silenzio raccolse le sue forze e, abbozzando un sorrisetto, disse: "Andiamo avanti". La frase e 
l'atteggiamento erano un incoraggiamento rivolto a se stesso, ma per quanti lo attorniavano 
cercando di consolarlo in quella triste circostanza si trasformarono in una lezione di vita, come 
dimostravano i loro sguardi stupefatti da tanta compostezza. Il comportamento dignitoso del 
fatalista filosofo mi fece venire in mente la frase finale di uno scritto, scolpito su una stele, che è 
possibile leggere in un luogo di periferia di uno dei centri abitati distrutti dal terremoto ormai quasi 
un secolo fa. Riferendosi all'Uomo che aveva caparbiamente ricostruito la città, nonostante di essa 
non fosse rimasta pietra su pietra, lo scritto così conclude: ".....tosto riprese a camminare". Ciò 
fortunatamente è successo infinite volte nella storia. Non arrendersi mai è stata finora la principale 
forza dell'Uomo. "L'arte della vita sta nell'imparare a soffrire e nell'imparare a sorridere" recita un 
detto e questa lezione lui aveva dimostrato di averla capita benissimo in occasione della morte di 
sua madre. 
Per il fatalista filosofo coltivare il buonumore era un impegno prioritario durante il giorno. 
"L'umore dipende molto da te" diceva sempre. Poi aggiungeva: "La mattina, al risveglio, ti trovi 
davanti ad un bivio: essere di buonumore o di cattivo umore. La scelta è tua, ma stai pur sicuro che 
se persegui il buonumore e riesci anche solo in parte a conseguirlo vivi meglio". In effetti, esso 
solleva il nostro morale, ci rende più attivi, ci fa cogliere il lato positivo e buffo delle cose; anche il 
nostro stato di salute ne trae beneficio. Tutto questo migliora i nostri rapporti umani. Inoltre il 
buonumore è contagioso; quindi crea le condizioni per una vita sociale di qualità superiore. "Per 
molte persone la tristezza è un vizio", "Con il morale fiacco non si va all'attacco" e "Per stare bene 
con gli altri bisogna innanzitutto stare bene con se stessi" sono solo alcuni fra i tanti proverbi che 
inducono a perseguire con impegno quotidiano uno stato d'animo lieto. 
La giovialità del fatalista filosofo invogliava chiunque ad entrare in relazione con lui e ciò 
dimostrava la validità del detto "Chi sorride ha più amici di chi è triste". Grazie al suo carattere e 
alla sua visione della vita, riuscì ad evitare in più occasioni arrabbiature e stress. Una sera incontrò 
alcuni amici che, dandogli spiegazioni molto approssimative, lo portarono in un ristorante in cui era 
in corso un banchetto al quale loro erano stati invitati. Di punto in bianco il fatalista filosofo si trovò 
seduto davanti ad una tavola imbandita in mezzo ad una decina di sconosciuti ben vestiti che 
ridevano e scherzavano. Perse anche i contatti con i suoi amici che, senza presentarlo a nessuno, si 
allontanarono da lui entrando in conversazione con altre persone. Per non fare brutta figura non 
poteva neanche chiedere spiegazioni ai suoi vicini di tavola. Tutti si sarebbero trovati in difficoltà in 
quella situazione; anche perché la cena stava iniziando e molti degli invitati, non conoscendolo, lo 
guardavano in modo interrogativo. Al posto suo, chiunque altro sarebbe andato via e alla prima 
occasione avrebbe anche rimproverato gli amici per la grossolana mancanza di tatto e di 
considerazione dimostrata nei suoi confronti. Tra l'altro, neanche il suo abbigliamento era consono 
alla circostanza e il rischio di fare la figura dell'accattone era alto. Anche la saggezza popolare era 
contro di lui. Il detto "Chi va ad una festa senza essere invitato o è matto o ubriaco", che lui ben 
conosceva, lo esponeva a critiche. In altre parole, era concreta la possibilità che questa vicenda 
compromettesse la buona reputazione di cui godeva in giro. Ma lui, come faceva sempre, la prese 
con filosofia. Senza tradire alcun imbarazzo si alzò in piedi tutto sorridente, richiamò l'attenzione 
dei presenti e con un italiano impeccabile disse: "Io non so chi voi siate e per quale circostanza ci 
troviamo qui. Comunque, sono onorato di far parte di questa allegra compagnia; buona cena a tutti e 
auguri agli eventuali festeggiati!". Poi si sedette e si mise a mangiare di gusto il cibo succulento che gli avevano appena servito. Ovviamente suscitò l'ilarità generale e fu preso in simpatia da tutti i 
presenti. Con la sua trovata aveva sfatato anche il detto "Chi va a cena senza invito è mal visto e 
mal servito".
Buttari Luigi

Una buona filosofia di vita è la più ricca eredità che un padre possa lasciare ai propri figli.

Gli incidenti di un.... "filosofo"
Quando gli riferivano pettegolezzi sul suo conto, il fatalista filosofo li ascoltava con 
un'espressione sorridente e meravigliata. Poi..... (Continua)

16-10-2014

IL RICOVERATO IMPERTINENTE

(continuazione)

 

Il mondo è di chi lo sa canzonare

 

Le infermiere in.....trappola

Il ricoverato impertinente era debole di reni e ci vedeva poco; quindi la notte, quando si

alzava per fare pipì nel pappagallo, spesso bagnava in giro suscitando le ire degli infermieri la

mattina seguente. Avrebbe dovuto farsi aiutare, ma era troppo orgoglioso. Per uno come lui chiedere

aiuto al personale di turno per farsi accompagnare in bagno significava rinunciare alla propria

indipendenza. Anche per colpa della fioca luce notturna che illuminava la camera di ospedale, a

volte si sbagliava e prendeva il pappagallo del vicino di letto facendolo arrabbiare.

Una sera le due infermiere che stavano prendendo servizio per fare il turno di notte lo

rimproverarono aspramente ed a voce alta per le tracce di pipì che aveva lasciato in giro le notti

precedenti. Poi con un tono sprezzante gli intimarono di rispettare le regole e di chiamarle ogni

volta che aveva lo stimolo di urinare. Avevano molte ragioni, ma questo non giustificava la loro

mancanza di rispetto; anche perché lui non faceva apposta a bagnare in giro. Come aveva già

dimostrato nel "duello" con il sacerdote qualche giorno prima, aveva una sua dignità. Accettava i

rimproveri fatti con discrezione, ma essere umiliato pubblicamente per una negligenza dovuta più

che altro agli acciacchi della vecchiaia per lui era un affronto intollerabile. Tuttavia, l'anziano

montanaro incassò la ramanzina senza battere ciglio. Ce la mise tutta per conservare un

atteggiamento dignitoso e il suo solito sorrisetto, nonostante avvertisse su di sé gli sguardi fastidiosi

degli altri ricoverati che ne spiavano le reazioni. Le due infermiere erano molto competenti nel loro

lavoro ma, alla stregua del sacerdote, in quella circostanza non avevano avuto tatto. Erano state

istintive e non si erano preoccupate di ferire l'anziano montanaro. Per restare in tema, erano state

loro a fare la pipì fuori dal vaso. I detti "Chi comprende, non giudica e non offende" e "La parte che

più ferisce del rimprovero è il tono" le avrebbero indotte ad essere più rispettose, ma non li

conoscevano o forse non ne apprezzavano il valore. A loro non aveva insegnato nulla neanche il

"duello" di qualche giorno prima tra l'anziano montanaro e il sacerdote, di cui erano sicuramente

venute a conoscenza. Purtroppo un'infinità di conflitti umani di piccola e grande rilevanza si

verificano perché in troppi non tengono presente il detto "L'uomo è un animale permaloso e di

difficile trattamento. Per una disattenzione o una parola non riguardosa si indispone e facilmente si

irrita".

La notte seguente, ligio alle raccomandazioni ricevute, l'anziano montanaro suonò varie

volte il campanello per farsi accompagnare in bagno; ma in più occasioni, dopo essersi trattenuto svariati minuti, diceva con un sorrisetto disarmante "non mi scappa più" e si faceva riaccompagnare

a letto. Dal locale degli infermieri era possibile individuare la stanza da cui proveniva la chiamata,

ma per capire chi fosse il degente chiamante le infermiere erano costrette ad andare a verificare ogni

volta e questa era già una penitenza per loro. Ma al ricoverato impertinente non bastava. Per evitare

che trovassero scappatoie o temporeggiassero, subito dopo aver suonato il campanello scendeva dal

letto e prendeva il pappagallo come se non resistesse allo stimolo di urinare; di conseguenza le

metteva in agitazione obbligandole a correre da lui. In questo modo aveva sempre la priorità su altri

degenti. Non appena tornava il silenzio in corsia, il ricoverato impertinente lo rompeva con il trillo

insistente del suo campanello dimostrando di essere un maestro nella strategia di logoramento.

Quella notte nel reparto ci fu trambusto. Né gli altri ricoverati né le due infermiere ebbero

pace. Ci fu qualche degente che provò a protestare affrontando l'irrequieto montanaro; la sua

risposta, però, era sempre la stessa: un sorrisetto disarmante che faceva allargare le braccia anche al

ricoverato più determinato. Il suo atteggiamento richiamava alla mente il detto "Per colpa del

peccatore paga anche il giusto". Ci furono lamentele anche da parte di ricoverati di altre stanze,

perché furono assistiti poco. Infatti, chiamando le infermiere di frequente e facendo perdere loro del

tempo prezioso, il ricoverato impertinente provocava la moltiplicazione delle chiamate di tutti gli

altri degenti in attesa di assistenza che, non vedendo arrivare nessuno, suonavano in continuazione i

campanelli. Non ci voleva molto a capire che lo stillicidio di richieste di assistenza fatte quella notte

da lui non era altro che una diabolica ritorsione nei confronti delle due infermiere; anche perché le

notti precedenti non si era alzato tutte quelle volte per fare pipì. Quest'ultime provarono solo

timidamente a rimproverarlo, perché lo videro molto determinato; quando arrivavano da lui, le

guardava negli occhi in silenzio, senza tradire emozioni, pur conservando il suo caratteristico

sorrisetto. "L'uomo deciso ti guarda in viso" recita un detto a cui il ricoverato impertinente si

ispirava inconsapevolmente in quella circostanza. Le infermiere non avevano scampo; gli avevano

detto loro di chiamarle per ogni evenienza e poi l'anziano montanaro problemi alla vista e ai reni li

aveva davvero. Le sue chiamate insistenti contenevano un messaggio molto chiaro che si può

sintetizzare così: io come ricoverato ho dei doveri ma anche dei diritti, tra cui quello di essere

rispettato e assistito; ecco, da adesso in poi li farò valere di più e se c'è carenza di personale peggio

per voi.

Le infermiere si resero ben presto conto che snobbare l'anziano montanaro avrebbe potuto

avere conseguenze anche peggiori per loro, vista la sua determinazione. Di sicuro non sarebbe

andato in bagno da solo e inoltre avrebbe bagnato di pipì in giro peggio delle notti precedenti,

costringendole magari a cambiare coperta, lenzuola e materasso del suo letto o di quello di altri. Se

poi, stufe di aspettare fuori dalla porta del bagno, se ne fossero andate senza riaccompagnarlo a

letto, chissà cosa avrebbe combinato facendosi forte del fatto che ci vedeva poco; senza contare che,

vagando per la stanza, avrebbe potuto farsi male o fare danni e a quel punto la responsabilità

sarebbe ricaduta su chi non lo aveva assistito bene, cioè sempre loro. In altre parole il ricoverato

impertinente, senza minacciarle o fare sceneggiate, aveva incastrato le infermiere con le stesse

regole che queste gli avevano imposto in malo modo la sera prima. In quella battaglia in difesa della

sua dignità aveva usato come una clava anche i suoi acciacchi, trasformando la sua debolezza di

reni e i suoi problemi alla vista in punti di forza con cui mettere sotto pressione le due "nemiche".

Da vero stratega, utilizzando regolamenti e problemi di salute che lo infastidivano, teneva in pugno

le due infermiere che gli avevano mancato di rispetto e questo era indice di una scaltrezza non

comune.

Sottovalutando l'anziano montanaro e parlando con superficialità, le due infermiere si erano

messe in trappola da sole. Per limitare i danni, esse avevano solo un modo: scusarsi e trattarlo con i

guanti bianchi. Se avessero seguito gli insegnamenti del detto "Reprimere un momento di rabbia può salvarti da cento giorni di dolore" non si sarebbero di certo cacciate in quel guaio. Per non

avere grane, a volte è sufficiente osservare regole semplici. Una di queste è la regola d'oro delle

dieci P, che ancora oggi molte nonne insegnano ai loro nipoti sotto forma di filastrocca. Essa recita:

"Prima pensa poi parla perché parola poco pensata porta pena".

 A quel punto, per rimediare sarebbe stato utile un bagno di umiltà da parte delle due infermiere.

Seguire gli insegnamenti del detto "Chi oggi confessa di aver avuto torto è più saggio di ieri"

sarebbe stato sicuramente un toccasana per loro. Ma, si sa, fare mea culpa è difficile per tutti e

presuppone molta saggezza. Nessuna delle due infermiere chiese scusa o tentò di riconciliarsi con

lui. Così il mattino seguente, poco prima che ci fosse il cambio turno del personale, il ricoverato

impertinente assestò il colpo definitivo alle due "nemiche": fingendo di inciampare, rovesciò un

bicchiere di sciroppo oleoso su coperta e lenzuola del suo letto sporcandole. Era la medicina che gli

avevano dato poco prima le due infermiere. Così facendo, aveva neutralizzato eventuali ritorsioni

da parte loro e contemporaneamente aveva portato a termine la sua vendetta usando i mezzi che loro

stesse gli avevano fornito. D'altra parte nessuno poteva accusarlo: ci vedeva poco. Poco dopo

chiamò le infermiere, già stremate dalla notte d'inferno appena trascorsa, suonando insistentemente

il campanello. "Cosa è successo ancora!?" urlò una di loro inviperita entrando nella stanza e

vedendo quel disastro. "Sono stanco" le rispose lui in dialetto facendo un sorrisetto beffardo. "Io

sono stanca, non tu!" replicò quasi piangendo quest'ultima, annichilita sia dal guaio combinato dal

ricoverato impertinente sia dalla sua risposta provocatoria. Tra l'altro era anche il momento di

somministrare le terapie mattutine ai ricoverati e quindi era molto impegnata insieme alla sua

collega. Tuttavia si fece coraggio e sistemò il letto, cambiando anche coperta e lenzuola, perché

spesso a quell'ora il primario si faceva vedere in reparto e il rischio di fare brutta figura o di dover

dare antipatiche spiegazioni era alto. Inoltre, se avesse lasciato le cose come stavano, rischiava di

litigare anche con gli infermieri del turno successivo, a cui quel lavoro non competeva. Appena

finito si sedette su una sedia, raccolse le sue forze residue e, rivolgendosi al ricoverato impertinente,

gli urlò con tutto il fiato che aveva in gola: "Fila a dormire!". "Che è meglio" aggiunse lui

ironicamente sdraiandosi con calma sul suo letto pulito e appena rifatto. "Chi prima non pensa dopo

sospira" sembrava dire fissando sornione la sua vittima.

Da quel momento rifiutò alimenti e medicinali per evitare eventuali vendette, ma per lui non

fu un sacrificio dato che non sopportava né gli uni né gli altri. I disturbi erano spariti e gli esami non

avevano rilevato problemi. In giornata, firmò le dimissioni volontarie dall'ospedale e se ne tornò

nelle sue montagne. Ne furono tutti felici. Soprattutto lui. Azzeccando sia le mosse che le

contromosse e facendole con una tempistica straordinaria, il ricoverato impertinente quella notte

aveva dimostrato di essere un ottimo giocatore nella scacchiera della vita; anche perché aveva

condotto una battaglia in buona parte silenziosa, ma nello stesso tempo molto efficace.

 

Luigi Buttari

 

Non affannarti inutilmente; un giorno il mondo farà a meno di te

IL FATALISTA FILOSOFO

Il personaggio era di quelli che suscitavano subito simpatia perché raccontava i fatti e

descriveva le situazioni con dovizia di particolari, una precisione esagerata ed un linguaggio.....

(continua)

08-10-2014

IL RICOVERATO IMPERTINENTE

 

Non è grave se gli uomini non ti conoscono; è grave se tu non conosci gli uomini.

 

Il diavolo e l'acqua santa

 Era un anziano montanaro di poche parole e dall'aspetto rude, ma aveva una mimica facciale particolare e un sorrisetto disarmante che lo rendevano simpatico. Il suo sguardo furbo lasciava intuire un'intelligenza non comune, che da un'analisi superficiale non traspariva; ecco perché chi si basava solo sull'apparenza tendeva a sottovalutarlo. Era quasi analfabeta e più che con le parole comunicava attraverso sguardi, versi, alzate di spalle, ghigni. Tuttavia, i messaggi che lanciava si capivano benissimo perché era molto espressivo. Non socializzava mai di sua iniziativa, ma siccome era simpatico non erano pochi quelli che lo stuzzicavano. Ciò dimostrava la validità del detto "Il sorriso e la simpatia sono formidabili strumenti per vincere la diffidenza altrui".

 

Questo anziano montanaro guardava sempre gli altri in modo ironico, ma difficilmente risultava antipatico. Grazie al suo sorrisetto accattivante aveva evitato o quanto meno attenuato tanti rimproveri nel corso della sua vita. Era rimasto scapolo per scelta e non aveva mai lavorato alle dipendenze di altri perché, per lui, vivere in modo libero ed indipendente era una necessità irrinunciabile. Non a caso, il detto "Meno dipendiamo dagli altri più siamo liberi" era la bussola della sua vita.

 

Conduceva una vita sana e all'aria aperta; di conseguenza la sua salute era stata sempre abbastanza buona. Aveva solo qualche acciacco legato all'avanzare dell'età. Un giorno, però, accusò dei forti dolori all'addome e si dovette ricoverare d'urgenza in ospedale. I dolori in breve tempo passarono quasi del tutto, ma i dottori vollero vederci chiaro e non lo dimisero subito. Lo tennero sotto osservazione alcuni giorni e nel frattempo lo sottoposero a vari esami. Gli prescrissero anche una rigida dieta che lui, essendo una buona forchetta, accolse con molti mugugni. Per uno come lui abituato a vivere "allo stato brado" quei pochi giorni di permanenza in ospedale si trasformarono in un incubo. Le regole vigenti nella struttura ospedaliera per lui erano solo delle fastidiose pastoie a cui non si rassegnava.

 

Che fosse uno spirito libero insofferente alle regole lo capirono tutti fin dal primo giorno di ricovero. Infatti, la mattina non recitò le preghiere insieme agli altri degenti. "Prega anche tu!" gli intimò a voce alta una nipote che lo assisteva. Non aprì bocca, ma conservò intatto il suo caratteristico sorrisetto ironico. "Non si arrende neanche davanti al Signore!" commentò quest'ultima per far capire ai presenti di che pasta fosse fatto suo zio. Anche i giorni successivi non pregò prima dei pasti, come facevano tutti. La sua era una scelta che si poteva non condividere, ma era coerente con le sue idee e poi lui non era il tipo che si lasciava imporre dagli altri la linea di condotta. "Sapere appartenere a se stesso è la più grande conquista di un uomo" recita un detto a cui l'anziano montanaro ispirava inconsapevolmente il suo comportamento.

 

Come era nel suo stile, nel corso della giornata conversava poco con gli altri ricoverati. Con loro parlava, per lamentarsi, solo quando gli venivano serviti i pasti. Abituato com'era ai cibi genuini delle sue montagne, mal sopportava i menù dell'ospedale a base di minestrine e altri cibi preconfezionati. Di notte, al buio, dal suo letto si sentiva un continuo borbottio interrotto frequentemente da imprecazioni e parolacce pronunciate ad alta voce e in dialetto, ma non per questo meno comprensibili. Anche di giorno ogni tanto imprecava ad alta voce incurante dei presenti. Più che i disturbi, erano la condizione di ricoverato e le regole che era costretto a rispettare a renderlo nervoso.  Per ironia della sorte fra i ricoverati della sua stanza c'era anche un prete, la cui pazienza e autorevolezza furono messe a dura prova dal comportamento del suo irrequieto vicino di letto. Infatti, capitava di sentire in contemporanea il sacerdote recitare il rosario e il vicino imprecare e ciò innervosiva il primo e creava un certo imbarazzo a tutti i presenti. Questa grottesca situazione aveva sempre lo stesso epilogo: il prete si alzava dal letto tutto contrariato e andava a pregare in un’altra stanza dando soddisfazione al suo impertinente vicino, come dimostrava il sorrisetto beffardo di quest'ultimo appena l'altro usciva. La stessa scena si ripeteva quando il sacerdote accendeva la sua radio portatile e si sintonizzava su una stazione religiosa. Purtroppo il sacerdote ignorava il detto "Se ti arrabbi, gratifichi chi ti insulta". Non sopportando né lui né i suoi riti, il ricoverato impertinente aveva trovato il modo di metterlo alla porta senza litigarci. Qualche giorno prima, senza volerlo, chi aveva ricoverato i due aveva messo nella stessa stanza di ospedale il diavolo e l'acqua santa creando una situazione comica e imbarazzante allo stesso tempo. Il sacerdote era di vecchio stampo. La prima notte di ricovero, sentendo imprecare il suo vicino di letto, si era arrabbiato e lo aveva sgridato ripetutamente offendendolo. Questi lo aveva ascoltato limitandosi a fare dei sorrisetti. Ogni volta però, dopo una breve pausa, i borbottii e le imprecazioni ricominciavano, anche se a voce più bassa. Sgridarlo davanti agli altri e, cosa ancora più grave, offenderlo non era stata una buona idea come dimostrava ciò che era successo nei giorni successivi. Il sacerdote aveva studiato tanto, ma non aveva capito che il modo più sicuro per farsi un nemico viscerale è quello di fargli perdere pubblicamente la faccia; a maggior ragione se si colpisce la persona nel suo complesso e non i singoli comportamenti sbagliati. Questa vicenda mi aveva fatto tornare in mente un saggio insegnamento che, se rispettato da tutti, migliorerebbe i rapporti umani a tutti i livelli. Esso recita: "Gli oppositori viscerali vanno evitati come la peste perché il loro unico scopo è metterci in cattiva luce indipendentemente dalla validità delle nostre scelte o argomentazioni; a differenza degli oppositori costruttivi che, criticando solo le nostre decisioni, ci aiutano a migliorarle". Il sacerdote poi ignorava un'altra regola di buonsenso e cioè "Che ad offese fatte in pubblico si può sperare di rimediare solo con scuse pubbliche". Il "duello" con il sacerdote era solo l'antipasto. Il ricoverato impertinente non aveva ancora dato il meglio di sé in quell'ospedale e il bello doveva ancora venire.

 

Le infermiere in......trappola

Il ricoverato impertinente era debole di reni e ci vedeva poco; quindi la notte, quando si alzava per fare pipì nel pappagallo...(continua)

 

Luigi Buttari

01-10-2014

Ciò che colpisce di molti uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non fossero mai vissuti.

 

Gli ambienti rurali sono depositari di un immenso patrimonio di saggezza popolare che si è tramandata oralmente per secoli. Infatti la cultura contadina, proprio perché è la più antica, è in ogni parte del mondo fonte inesauribile di proverbi e aneddoti, molti dei quali hanno superato brillantemente secoli di verifiche conservando intatta la loro validità ed influenzando in senso positivo la vita di milioni di persone. I coltivatori hanno avuto come maestri la natura e i suoi fenomeni, con cui sono quotidianamente a contatto, e questo ha consentito loro di acquisire nel corso dei secoli conoscenze ed insegnamenti di cui è il caso che tutti approfittino perché sono una risorsa nella battaglia della vita. Anche per tale ragione sono orgoglioso di appartenere ad una famiglia di lunga tradizione contadina e considero una fortuna avere svolto un lavoro che mi ha permesso di frequentare per decenni ambienti agricoli.

 

La saggezza popolare mi ha subito appassionato perché ho capito che era una preziosa chiave di lettura degli uomini e della realtà. Ovviamente negli ambienti rurali abbondano anche luoghi comuni e consuetudini sbagliate; ecco perché ho condotto con pazienza un minuzioso lavoro di approfondimento e di verifica di ciò che apprendevo. Così facendo, nel corso degli anni ho raccolto e selezionato un'infinità di proverbi ed insegnamenti di qualità la cui validità è difficilmente confutabile. Per questo essi sono delle solide basi su cui fondare le proprie tesi. Usandoli con intelligenza, tali principi di saggezza permettono di arricchire le conversazioni, di fare la sintesi dei ragionamenti rendendoli logici e sensati, nonché di stroncare sul nascere discussioni banali e superficiali. Una vita basata su esempi ed insegnamenti qualificati è come una casa ben costruita e fondata sulla roccia.

 

Vivendo a contatto con gli ambienti rurali, ho avuto anche modo di conoscere direttamente ed indirettamente personaggi che con le loro battute spiazzanti e i loro comportamenti originali sono diventati famosi ed hanno lasciato un segno non solo nelle loro comunità di appartenenza, ma anche in contesti sociali e culturali lontani e diversi da quelli che li hanno visti protagonisti. A volte, dopo la loro morte, essi sono rimasti vivi per decenni nei ricordi dei loro conterranei, dimostrando la validità del detto "I veri morti sono coloro le cui idee e i cui esempi muoiono nel ricordo dei vivi o suscitano ripugnanza in loro". L'apprezzamento duraturo e generalizzato delle "gesta" di tutti questi moderni Bertoldo è stato per me la prova della loro genialità; ecco perché mi sono ispirato a loro e alle loro vicende nei racconti di questa rubrica.

 

Attraverso le storie mi ripropongo di trasmettere al lettore validi insegnamenti divertendolo o, quanto meno, mettendolo di buonumore. Buona parte dei racconti è basata su personaggi e fatti veri. Io li ho solo arricchiti con proverbi ed aneddoti adatti alle situazioni ed in sintonia con il pensiero dei protagonisti, cercando di trasformarli in lezioni di vita. La mia scelta è caduta principalmente su personaggi umoristici che si sono sforzati di affrontare la vita con allegria cercando di non prenderla troppo sul serio, perché ho considerato questo loro modo di rapportarsi con la realtà e con gli altri una efficace terapia antistress. Mi sono soffermato soprattutto su quelli con una visione della realtà e dei rapporti umani diversa dalla maggioranza, su quelli che si sono distinti per anticonformismo e autodeterminazione, su coloro che hanno reagito in modo inaspettato ma intelligente alle avversità, su quanti hanno trovato soluzioni originali ma efficaci ai problemi quotidiani. In altre parole, ho privilegiato quelli che sono riusciti a stupirmi. A guidarmi nella scelta dei protagonisti dei racconti sono stati alcuni illuminanti detti che mi hanno fatto molto riflettere. Tra questi: "Chi cammina sulle orme degli altri non lascia traccia", "Due strade trovai nel bosco; scelsi quella meno battuta: per questo sono diverso" e "Diversamente e meglio sono le parole preferite da chi ama progredire".

 

In definitiva, attraverso questa rubrica mi ripropongo di dare voce a quanti nelle comunità di appartenenza hanno lasciato tracce proprie differenziandosi dalla maggioranza delle persone. E questo proprio perché hanno "cantato fuori dal coro", a differenza della maggior parte della gente che si comporta più secondo usi, consuetudini e luoghi comuni che in base a convinzioni autonome. A tal proposito, c'è un interessante detto su cui tutti dovremmo riflettere. Esso recita: "Il luogo comune rende un uomo una pecora ed un popolo un gregge; chiede poco, ma dà anche poco; limita lo sforzo intellettuale, ma rende scialba l'esistenza".

 

Fra i personaggi che ho conosciuto direttamente ed indirettamente ho apprezzato in modo particolare quelli che hanno avuto la capacità di spiazzare gli avversari con battute intelligenti, nonché di rinfacciare agli altri (in particolare ai potenti) colpe, errori, comportamenti sbagliati e verità scomode sfottendoli o rimproverandoli senza indispettirli; anzi facendoli spesso ridere dei loro difetti e dei loro errori.

 

Anche se in misura e modi diversi, considero tutti i personaggi che citerò nella rubrica miei maestri di vita. Ognuno di essi mi ha insegnato qualcosa arricchendomi umanamente e conferendo maggiore buonsenso ai miei comportamenti quotidiani; ecco perché a loro va tutta la mia riconoscenza. Ovviamente, come tutte le persone, hanno i loro difetti; per questo non li metto mai sul piedistallo. Cerco solo di dare la giusta importanza ad alcuni loro insegnamenti ed esempi che a mio avviso offrono interessanti spunti di riflessione e aiutano a vivere meglio chi è in grado di comprenderne il significato e l'ironia. Avrò raggiunto il mio scopo se, attraverso questa rubrica, sarò riuscito a fornire anche ad un solo lettore gli strumenti giusti per riflettere e prendere la vita con più filosofia.

 

Luigi Buttari

30-09-2014

Cari lettori,

entro di soppiatto in questa pagina per rivolgere un caloroso benvenuto nella famiglia di Avezzanoinforma a Luigi Buttari e alla sua rubrica “Racconti dalla Marsica e Dintorni – Saggezza popolare e buonumore contro lo stress della vita moderna”.

Ogni martedì il nostro quotidiano sarà arricchito dai racconti di Buttari su fatti veri e personaggi realmente esistiti che si sono distinti per sagacia, umorismo e saggezza.

Buon lavoro Luigi, un sorriso ci salverà!

 

Direttore