Lavoro

Riduzione delle ore di lavoro alla LFoundry: il commento del sindacalista Tangredi

“Per forza di cose firmerò un accordo triste che farà male ai lavoratori, alle loro famiglie e al territorio”


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AVEZZANO. «Questa volta dovrei essere d’accordo a prescindere, non ci sono grandi alternative alla riduzione delle ore da lavorare alla LFoundry, per evitare che oltre 200 dipendenti turnisti si vedano risolvere il rapporto di lavoro, in applicazione della legge 223/93 – licenziamento collettivo – mentre per gli altri esuberi, i cosiddetti indiretti di produzione, si aprirà un discorso a parte». Esordisce così Antonello Tangredi, segretario della Fim-Cisl, sulla questione della ex Micron.

 

«Dover essere d’accordo per necessità, però» scrive in una nota Tangredi «non significa abbandonare il “ragionare” e non significa scendere dalle “barricate” e “deporre le armi”, dopo oltre 20 anni di onesta lotta sindacale in favore dei lavoratori e contro i tanti soprusi consumati su di loro. L’analisi di una persona normale, tuttavia, non può, parlare solo dei “successi” e nascondere le “sconfitte” quando ci sono state e, così, nello scrivere questo pezzo che, probabilmente potrebbe essere l’ultimo come dipendente in aspettativa sindacale non retribuita (da 13 anni), cercherò di fornire ai lavoratori, un contributo che non sarà solo “storico sindacale” e nemmeno solo di protesta ma, anche di proposta».

 

«Su quotidiano locale, da sempre molto vicino alle posizioni aziendali» dichiara il segretario «ho letto, giorni fa, i particolari della possibile turnazione 3 più 5 da praticare alla LFoundry, particolari parzialmente descritti nel verbale di riunione siglato il 7 agosto in Confindustria all’Aquila. Questa proposta (3+5) fu partorita dal sindacato alla fine 2001, a valle di quasi due anni di turnazione a 12 ore, in preparazione della verifica ministeriale derivante dall’accordo sindacale del 23 dicembre 1999 nel quale era sancito che “le parti si sarebbero incontrate dopo 2 anni, per verificare la possibilità di ridurre le 2 notti consecutive”. La proposta, ripeto, tutta sindacale, presupponeva la realizzazione della cosiddetta quinta squadra a parità di salario (mille e 700 ore), anche con l’utilizzo dei restanti ex R.O.L. – successivamente P.A.R. – a carico dei lavoratori e uno sforzo da parte dell’allora Micron, i cui forzieri, giova ricordarlo, erano stracolmi di dollari. In alternativa alla quinta squadra, il sindacato proponeva il ritorno ai turni di otto ore con il monte ore del C.C.N.L.».

 

«La partita» spiega ancora il sindacalista «finì con la riduzione dei break in modo unilaterale da parte della Micron, da tre a due ore e con 900 giornalieri che avrebbero voluto “ammazzare” i sindacalisti perché il non accoglimento della quinta squadra, avrebbe rappresentato, per il sindacato, la disdetta integrale dell’accordo del 23.12.1999. La quinta squadra, dunque, ai tempi d’oro della Micron non si poté realizzare perché una direzione tiranna “soppresse” con la forza uno dei pochi veri “slanci” di forza sindacale. Ma come se non bastasse la rappresaglia dell’azienda, la Uilm, senza condizioni e senza apparenti interessi (si disse per favorire gli investimenti) firmò l’armistizio. Per mera analogia, le lancette del tempo (dei lavoratori e del sindacato) furono riportate alle 18.30 dell’8 settembre 1943 nella cittadina di Cassibile (Siracusa): resa incondizionata annunciata dal Maresciallo Badoglio attraverso i microfoni della Eiar».

 

«Le assemblee oceaniche, tenute dalla Uilm, alle quali tutti i lavoratori furono invitati a partecipare dalla direzione aziendale, prive di contraddittorio, sancirono» ricorda ancora «con pochi voti contrari, il patto di non belligeranza di dieci anni sull’orario di lavoro: accordo che spezzò definitivamente le reni a tanti lavoratori e mise in ginocchio l’unità sindacale. Sempre per analogia, fu il periodo in cui la Uilm si trovò improvvisamente a quota 160 tessere, il periodo in cui, curiosamente, la Uilm, fuori dalle mura della Micron cercava di comportarsi (con le altre oo.ss.) all’italiana maniera, proprio come il Governo di allora (1943): al Sud Italia alleata con gli anglo-americani e, da Cassino in su, alleata dei tedeschi: che roba».

 

«Sicuramente» ammette Tangredi «sbagliammo noi a non impugnare l’accordo dei dieci anni innanzi al Tribunale, per palese violazione dell’art. 17 della legge 300/70: “È fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. L’accordo scellerato andava annullato con ricorso ex art. 28 legge n. 300/70, quindi, immediatamente. Il resto della truppa sindacale non la pensava come me e, quindi, non ebbi la forza di andare avanti da solo in quella direzione, perché da pochi giorni, dopo un lungo braccio di ferro in Tribunale, avevo avuto la meglio sulla Micron dopo che, quest’ultima, 5 mesi prima mi aveva licenziato».

 

«Per tornare ad oggi, dunque» riprende il segretario di Fim «i lavoratori, obtorto collo, dovranno ripartire, laddove si dovesse trovare un accordo sulla riduzione delle ore da lavorare, ancora una volta, “sotto scacco”, sapendo che la loro busta paga sarà più leggera, non di 80-100 euro mensili, com’è scritto sul giornale “amico” ma, almeno il doppio, se si considera anche la quota contributi Inps, l’incidenza sul Tfr». «Ma LFoundry, cosa ci mette in questa storia? Perché tutta questa fretta? Perché decidere adesso una cosa che potrebbe essere benissimo decisa fra 11 mesi?» si chiede Tangredi. «Questa storia puzza. Forse» argomenta «c’è la possibilità che On-Semiconductor non mantenga gli impegni di Aptina e, quindi, c’è la reale percezione che il C.d.S. (contratto di solidarietà) potrebbe non bastare? Mica sono tanto convinto, poi, che, un accordo sindacale possa derogare il rapporto di lavoro soggettivo con un accordo collettivo, passando anche sui cosiddetti diritti indisponibili, leggasi ad esempio, diritti patrimoniali derivanti da rapporti familiari come il diritto agli alimenti. Se, in applicazione della tabella allegata ci dovesse essere una riduzione del salario così marcata, molti lavoratori scivolerebbero, in caso di ritorno alla cassa integrazione (ordinaria o straordinaria ma anche per coloro che accettassero l’eventuale mobilità) nella fascia bassa di retribuzione. È un rischio troppo elevato (oltre ai predetti effetti sull’eventuale pensione) che i lavoratori a queste condizioni non possono correre e che noi non dobbiamo far correre a nessuno».

 

«Il giornale “amico” dell’azienda» scrive ancora Tangredi «ha trasformato, nella sua nota, la quinta squadra in un part-time collettivo, dimenticando che la trasformazione di un contratto da tempo pieno a tempo ridotto, può essere chiesto solo dal lavoratore, non può succedere il contrario. Ergo, sarebbe più logico reimpostare le ore del C.d.S. su ogni lavoratore, tenuta in debito conto la posizione attuale dell’azienda di recuperare gli esuberi in produzione. In alternativa, visto che senza questo accordo si canterebbe il “De profubdis”, perché non tornare seriamente a ragionare su uno schema a otto ore e nove semisquadre? È vero che si recupererebbero meno esuberi, ma il C.d.S. fatto girare su otto ore e spalmato senza discriminazioni, renderebbe, almeno la qualità della vita migliore. Se non ci sono più pregiudizi ideologici sui turni da otto ore, si faccia almeno l’esperimento di un anno: sarebbe l’occasione buona per dimostrare che, in otto ore di lavoro aumenta la produttività, la qualità e, quindi la redditività. Il fatto che i lavoratori e quindi il sindacato debbano giocare ancora una partita “strabica”, perché ancora una volta “costretti”, non è un segnale distensivo, anzi, stavolta farà arrabbiare anche i fedelissimi, quelli che non hanno mai assaporato la cassa integrazione e che, nel C.d.S., sono entrati solo a piccoli sprazzi».

 

«Per finire» conclude Tangredi «un ultimo consiglio: prima di fare davvero i “danni”, ricordiamoci un po’ di storia, evitiamo di santificare certa politica sindacale “allegra” e, soprattutto, ricordiamo a questa dirigenza aziendale che il detto “di necessità, virtù” non vale solo quando conviene o quando è voluto solo da una parte. Avrei voluto scrivere cose più belle, magari con ironia e senza la mia solita passione, ma non sono capace di raccontare barzellette, soprattutto in un momento così triste che mi porterà, per forza di cose firmare un accordo triste che farà “male” ai lavoratori, alle loro famiglie e al territorio che ha dato davvero tanto in 25 anni per arrivare, poi, a vedere questo fallimento industriale».

 

Redazione Avezzano Informa


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