Cronaca 23:49

La favola del Regno delle pecore, dei cani bianchi e dei loro padroni

pino zac - il potere.jpg

 

C’era una volta un Regno. Una terra fatta di mare, di colli, di montagne e cieli azzurri. Una regione della quale i poeti e i pittori antichi cantavano e vergavano le gesta delle pecore, dei cani bianchi e dei loro padroni. Una terra nella quale erano potenti gli stregoni che dovevano provvedere a guarirti, quelli che avevano le strade per portarti ovunque tu volessi con oboli altissimi e quelli che tutto giudicavano.

 

Questa è la storia di un Signore appartenente alla “Gente del Progresso”, acclamato dal suo popolo per andare a fare il Re e amministrare il futuro dei suoi concittadini. Ebbene lui venne a scontrarsi con i signori della medicina e delle vie. I signori che tutto giudicavano non la presero bene.

 

Eppure il Signore era cresciuto da amministrato, povero tra i poveri delle montagne in un periodo nel quale il Regno Grande si dovette risollevare da una guerra persa male. Ma lui era ricco di forza e intelletto, una ricchezza che seppe mettere a frutto e che lo portò a varcare le soglie di molti incarichi del Regno Centrale e poi quello per amministrare la sua povera terra.

 

Un giorno venne messo sul banco degli imputati nella città “dove il tempo è mite e magie puoi fare tramutando la vite”. Ma pure tramutando l’olive in olio, il Paese tutto doveva dimostrare la colpevolezza e non l’imputato dimostrare l’innocenza. Appunto, in quella città magica i maghi del giudizio seppero tramutare il diritto in rovescio e il signore venne condannato senza prova. Poi venne messo in catene mentre urlava la sua innocenza però il potere dell’acclamazione popolare nulla poté. Dopo pochi anni il Signore venne giudicato nell’altra città, quella “dove i rapaci volano alti e incontrastati nel cielo”. Lì il Signore venne condannato un’altra volta ma la pena venne ridotta nella stretta dei cuori della gente libera. Ancora una volta non c’era prova del malfatto.

 

Quel Signore patì ancora una volta l’ingiusta condanna sostenuto solo dai suoi più cari amici e abbandonato ancora come se fosse la prima ora dalla “Gente del Progresso”. Ma quel regno era così: un uomo, Signore o ultimo, poteva venire condannato in prima istanza senza prova nelle tenebre dei nemici e sull’onda dei servi strilloni. E anche in seconda istanza nella vergogna generale, dei nemici e degli strilloni. A quel tempo si faceva così.

 

Nel frattempo il suo più grande accusatore accumulava una valanga di fortuna politica anche nelle fila della “Gente del Progresso”. E come la prima volta, quella “Gente” preferì ritirarsi in casa, prigioniera della paura e dell’ossequio. Visto che questo poté capitare a quel Signore, le persone cominciarono a chiedersi che cosa potesse essere di loro una volta capitate in un ingranaggio tanto perverso quanto inesorabile.

 

Alla fine a quel Signore non rimaneva altro da fare, non rimaneva altro che quel che ricordava da bambino e da ragazzo: stare sdraiato al sole sui prati con la sua lambretta, al riparo dalla pioggia e dalla neve della sua montagna. Amando per sempre la sua terra, quella fatta dalle pecore e dai cani bianchi. E dai loro padroni.

 

Direttore

 

Foto: Il Potere, vignetta di Pino Zac


Ti potrebbero interessare anche Politica | Notizie
Pino Zac