Cultura 06:48

Nonno "Falchettone": la nostra Resistenza è stata fare del bene a chi fuggiva dalle persecuzioni

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Oggi, 25 aprile 2017, si celebrano i 72 anni dal giorno della Liberazione d’Italia. Una pagina di storia di fondamentale importanza, che cambiò per sempre le sorti del mondo intero: la seconda guerra mondiale, infatti, è costata all’umanità 60 milioni di morti, intere città ridotte a cumuli di macerie e disperazione, oltre sei anni di indicibili atrocità. Durante questa giornata in tutta Italia si onora il ricordo dei caduti con interventi istituzionali, cortei e deposizioni di corone in memoria delle vittime davanti ai monumenti che le ricordano. Anche quest’anno le Associazioni Combattentistiche e Partigiane ed il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci ribadiscono quanto sia importante mantenere vivo il ricordo della lotta partigiana, della Resistenza coraggiosa dei semplici cittadini alle violenze del nemico, del sacrificio dei martiri, dei tanti che persero la vita per la libertà, per ridare all’Italia la sua dignità, per costruire le basi della democrazia odierna.


In questo contesto, in Abruzzo e nella Marsica, notevole è stato il contributo da parte dei partigiani e dei civili per resistere alle ingiustizie perpetrate dai nazi-fascisti e liberare il Paese dall’occupazione tedesca. Sono tante le esperienze esistenziali degli uomini e delle donne che vissero la Resistenza e la costruirono, spesso non armati ma animati da fervido spirito patriottico. Per tessere un filo diretto tra due generazioni distanti oltre settant’anni, sarà un nonno di Luco dei Marsi, l’alpino di 87 anni Ernesto Di Giamberardinoa raccontarci quegli anni di guerra vissuti in paese. Conosciuto da tutti con il nome di “Falchettone” e come storico capogruppo del cammino della Santissima Trinità, Ernesto era un adolescente quando in Italia venne proclamata la Liberazione. 


<<Sono stati anni difficili per tutti, i tedeschi a Luco avevano occupato diverse strutture e detenevano il controllo di tutto il territorio, comprese le montagne dove si nascondevano i fuggiaschi e i prigionieri, tra cui molti indiani alleati. Io stesso sono stato preso dai tedeschi mentre giocavo con mio fratello ed altri ragazzi poco più grandi tra i vicoli del “Borgetto”. Ero solo un ragazzino, avevo quasi 14 anni all’epoca, ma sembravo più grande per via della mia corporatura da uomo. Sono stato portato “aj casalitt”, uno dei tanti edifici occupati dai tedeschi situato sulla strada che porta ai Frati. Un anziano signore di Luco che conosceva il tedesco, intercettato da mia madre preoccupata per ciò che mi era accaduto, ha parlato con i soldati spiegando loro che non avevo fatto niente e che ero solo un bambino che giocava in strada. Per fortuna sono stato liberato, e con grande spavento sono tornato di corsa a casa.


Non tutti, ovviamente, hanno avuto la mia stessa fortuna. Alcuni sono stati deportati, altri scomparsi da un giorno all’altro. Il guaio grande in paese arrivava la sera, chi andava in giro dopo l’orario del coprifuoco rischiava di essere fermato, picchiato, imprigionato o addirittura ucciso. È ciò che è accaduto ad un uomo di Luco, che era rimasto fino a tardi a bere da un rivenditore di vino. Una volta in strada ha incontrato la ronda: preso dal panico ha cominciato a correre per raggiungere la sua casa. Seguito dai tedeschi è stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco ed ucciso.


Ricordo un giorno ero con mio padre e mio fratello a seminare le “cicerchie” nella nostra terra in località “J peschie bianch” quando si avvicinarono alcuni indiani che si nascondevano intorno alla chiesetta di Candelecchia. Erano affamati e ci avevvano fatto capire di volere qualcosa da mangiare, nonostante la paura di essere denunciati. Mio padre a quel punto gli ha offerto la nostra “motina”, il pasto fatto di pane e pancetta che avevamo portato per noi, ma non vollero mangiarla perché c’era la carne. La volta successiva mio padre ha diviso il pane dalla carne per poter dare da mangiare ai fuggitivi indiani, che questa volta divorarono la pagnotta in pochi secondi. 


Il problema non erano solo i tedeschi ma anche i fascisti presenti a Luco. Quando uccidevi il maiale, per esempio, una parte dovevi darla al comune che aveva il compito di distribuire i beni ai tedeschi. Solo una piccola parte in realtà è arrivata ai militari, il resto lo dividevano tra loro: dopo la liberazione, infatti, molti di questi fascisti sono stati arrestati e buona parte dei prodotti della povera gente sono stati ritrovati nella cisterna: prosciutti, lardo, guanciale, di tutto!


L’unico modo per non dare loro una parte degli animali che ammazzavi era non farsi sentire. Un signore di Luco, Zi Domenico, aveva escogitato un metodo infallibile, uno spago con cappio che rendeva impossibile strillare al maiale. Di notte mettevi a bollire l’acqua, chiamavi Zi Domenico, uccidevi il maiale o gli altri animali senza far rumore, e nascondevi la carne sperando di non essere scoperti e di non incappare nelle spie.  

 

Il giorno della Liberazione a Luco ed in tutti i paesi della Marsica c’era una grande festa, una gioia nuova che ci pervadeva e ci faceva correre in piazza, sotto le case, dappertutto. I bambini cantavano e ballavano, c’era nell’aria una frenesia che ci ripagava di tanta paura. Quando sono arrivati gli alleati dalle montagne con i prigionieri ed i partigiani abbiamo aperto le braccia al cielo, li abbiamo accolti con pane ed altri doni.


Questi sono alcuni dei ricordi della mia infanzia, alcuni felici altri meno, ma posso assicurare alle giovani generazioni che la Resistenza della nostra gente era proprio questo, fare del bene a chi fuggiva dalla persecuzione, dare da mangiare a chi ne aveva bisogno, difendere i compagni in maniera silenziosa. Molti rischiavano la pelle nascondendo nei pagliai i fuggitivi, altri facevano da staffetta sulle montagne per avvertire chi si nascondeva dell’arrivo dei fascisti. La nostra è stata una Resistenza nascosta, fatta d'amore e di piccoli grandi gesti>>. 

 

Foto scattata da Sor Pietro 

 

Idia Pelliccia